l'ultimo baluardo del “modello Merkel”

Cosa cambia dopo la morte dell'ambasciatore tedesco a Pechino

Giulia Pompili

Nessun complotto, ma nella politica tedesca ed europea nei confronti della Cina non sarà tutto come prima 

“Siamo scioccati nell’apprendere della morte improvvisa dell’ambasciatore Jan Hecker, che ha lavorato attivamente per promuovere le relazioni tra Cina e Germania da quando ha assunto il suo incarico. Piangiamo la sua scomparsa e porgiamo sincere condoglianze ai suoi cari”, ha detto ieri il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Wang Wenbin, durante la quotidiana conferenza stampa. Ieri un con uno scarno comunicato il governo di Berlino ha annunciato la morte di Jan Hecker, 54 anni, che era arrivato a Pechino i primi giorni di agosto e il 24, dopo la quarantena, aveva presentato le sue credenziali al ministero degli Esteri cinese. Heiko Maas, capo della diplomazia tedesca, ha detto all’agenzia di stampa Dpa che “non abbiamo indicazioni che la morte di Hecker sia collegata in alcun modo al suo ruolo professionale di ambasciatore tedesco a Pechino”. Nessun complotto, ma nella politica tedesca ed europea nei confronti della Cina qualcosa cambierà.


Jan Hecker era l’uomo di fiducia di Angela Merkel. Quando lo aveva nominato consigliere sulla politica estera e la sicurezza, più di quattro anni fa, per il mondo diplomatico era stata una sorpresa: fino ad allora si era occupato ben poco di affari e vicende fuori dai confini nazionali. Eppure la coppia Hecker-Merkel aveva lavorato molto bene e a stretto contatto: già da capo dell’Unità di coordinamento delle politiche per l’immigrazione, aveva suggerito quel “ce la faremo” che era stato un mantra della politica d’accoglienza di Merkel per anni. Già da dicembre scorso circolava il suo nome come possibile candidato per il posto da ambasciatore tedesco in Cina. Secondo i giornali tedeschi, la decisione di mandare Hecker a Pechino serviva a consolidare, per i prossimi anni oltre la fine della leadership della cancelliera, un certo tipo di strategia nei confronti della seconda economia del mondo, di cui la Germania è il principale partner commerciale nella zona Euro,  che era stata la bandiera della politica estera merkeliana, soprattutto negli ultimi anni. Il cosiddetto “modello Merkel” cercava di porre in primo piano il dialogo con Pechino legato al business, al di là delle questioni politiche e dei diritti umani. E’ anche così che Merkel nel corso degli anni è diventata la persona che il presidente Xi Jinping chiama ogni volta che ha qualcosa da dire non solo alla Germania, ma all’intera Unione europea. Non a caso l’ultima telefonata tra Xi e Merkel c’è stata all’inizio di aprile, e successivamente, a luglio, i due leader hanno parlato durante un trilaterale online insieme con il presidente francese Emmanuel Macron. 


Di problemi il “modello Merkel” già ne aveva parecchi. A maggio il Parlamento europeo ha affossato definitivamente il “Comprehensive Agreement on Investment” (Cai), l’accordo per gli investimenti europei in Cina fortemente voluto dalla cancelliera. Dopo le sanzioni poste da Pechino contro alcuni dei rappresentanti delle istituzioni dell’Ue, il Parlamento ha deciso di sospendere a tempo indeterminato l’accordo e Pechino è arrivata al centro della politica estera europea, non esattamente nella versione dialogante proposta da Merkel. 


In questo contesto Jan Hecker si occupava di Cina soprattutto nei suoi incontri con i partner stranieri sulle vicende legate alla sicurezza, e di Cina parlava soprattutto con l’omologo americano Jake Sullivan. L’arrivo di Jan Hecker a Pechino qualche mese fa era il segno di quel “modello Merkel” che la cancelliera voleva lasciare in eredità, e che non escludeva però la critica alla Cina: la scorsa settimana, Hecker aveva partecipato, insieme ad altri capi missione dell’Ue in Cina, a un incontro con l’ambasciatrice lituana a Pechino Diana Mickeviciene, costretta a lasciare la capitale cinese dopo che la Lituania ha aperto un ufficio di rappresentanza a Taiwan. 


Con la morte di Hecker se ne va anche l’ultimo avamposto della politica dialogante di Merkel, e già da qualche settimana i media asiatici si domandano chi, tra i leader europei, prenderà le redini dei rapporti con Pechino. “La Cina spera nel mantenimento dello status quo”, ha detto  il corrispondente da Bruxelles del South China Morning Post Finbarr Bermingham, “che si può verificare in due scenari”: da un lato la vittoria di Armin Laschet, ammesso che prosegua con una politica distensiva con la Cina; dall’altro lato c’è l’opzione Macron, che vorrebbe intestarsi le relazioni privilegiate con il Dragone, ma a patto di aumentare le relazioni commerciali. In questo scenario, il presidente del Consiglio Mario Draghi sembra non rappresentare una opzione utile per Pechino.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.