(foto Ansa)

Protetti e autonomi

L'esercito europeo serve. Il modello c'è già: ampliare le agenzie come Frontex

Jean-Pierre Darnis

Dopo il ritiro da Kabul lo scenario africano è molto preoccupante per l'Europa. E' urgente per l'Unione essere in grado di proiettare sicurezza e realizzare quel che fino a ieri sembrava un'utopia

Il ritiro dell’Afghanistan ha riacceso il dibattito a proposito dell’opportunità per l’Europa di poter contare su una propria capacità militare, anche per essere maggiormente autonoma dagli Stati Uniti. Non si tratta di un’idea nuova, già nel Consiglio europeo di Colonia nel giugno 1999 si era deciso di creare una politica europea di sicurezza e difesa, poi trasformata in politica di sicurezza e difesa comune.  La politica di difesa europea ha quindi conosciuto un percorso di creazione istituzionale che ha portato a definire una serie di capacità e cooperazioni. Quest’evoluzione ha anche permesso la realizzazione di missioni militari, limitate però a compiti di bassa intensità, ovvero sia senza uso della forza, del tipo monitoraggio o assistenza e formazione alle forze locali.

Rileviamo un nodo fondamentale per l’azione militare dell’Unione europea: si è creato un consenso sulla condivisione di alcune capacità ritenute poco strategiche, e si sono poi fatti progressi importanti per finanziare la ricerca e lo sviluppo di materiale. Ma la stragrande maggioranza degli stati membri ritiene di dover decidere in modo sovrano riguardo all’impegno, o no, di forze militare in contesti bellicosi. Già la presidenza Trump aveva contribuito a rafforzare il progetto di un “autonomia strategica europea”. Ma il concetto vedeva coabitare sia una visione di ispirazione francese di esercito europeo combattente che le velleità tedesche di accrescere la sovranità tecnologica e industriale. La tematica, molto suggestiva, è stata recentemente rilanciata alla luce del disastro afghano. Però diventa poi difficile mettere tutti d’accordo su strategia e obiettivi, come costatato dai francesi quando nel 2020 hanno provato ad aprire il dibattito della condivisione della dissuasione nucleare con partner europei rimasti silenti.

Bisogna ricordare che l’uso della forza è nel cuore della sovranità democratica: nell’Unione però abbiamo paesi interventisti (la Francia) e altri non (Germania, Italia) ed è molto difficile rinunciare alla propria sovranità sull’uso della forza. Inoltre, le organizzazioni militari appaiono come i guardiani della sicurezza nazionale, il che rende difficile l’ibridazione con altre sovranità. Il cammino della politica di difesa europea proseguirà ma sconterà sempre queste difficoltà intrinseche. Potrebbe essere quindi sensato pensare in grande, a un salto federalista che aggiri il problema della cooperazione per ambire a un vero e proprio esercito europeo. Il modello delle agenzie dell’Unione, del tipo Frontex, crea embrioni di forze di sicurezza europee. Si può quindi partire da lì per costituire un esercito europeo alle dipendenze del consiglio dell’Unione europea che possa avere un proprio budget, preso dal bilancio comune, e si possa dotare di uomini e mezzi propri. Certo una tale operazione creerebbe poi una serie di problemi ulteriori, per  esempio per quanto riguarda lo statuto giuridico dei soldati, delle basi ma anche le missioni all’estero. Ma niente che sia impossibile da risolvere per un’Unione europea che dispone già di una rete diplomatica fuori dai suoi confini. La costituzione di un esercito federale europeo provocherebbe le resistenze di alcuni  stati membri, gelosi delle proprie prerogative. Ma potrebbe essere non peggiore della politica europea di difesa  Pesc/Pesd che si è rivelata dall’inizio molto farraginosa e non in grado di portare l’Unione europea a una svolta nelle capacità militari. Dopo il ritiro dall’Afghanistan lo scenario africano è molto preoccupante per l’Europa ed è urgente per l’Unione  essere in grado di proiettare sicurezza, anche realizzando quello che fino a ieri sembrava un’utopia.

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