Fuga dalla sharia

Chi si indigna contro l'orrore talebano non dovrebbe avere più problemi a indignarsi contro i nemici di Israele

Claudio Cerasa

Gli attentati, i morti, le donne in fuga, il ritorno del terrore e le reazioni che purtroppo non ci saranno quando entreranno in azione gli amici dei talebani

Le donne disperate. I bambini che scappano. I comici uccisi. I colpi di mitraglia. Gli attentati suicidi. Gli uomini che cadono dagli aerei. I neonati lanciati ai soldati. Il vuoto americano. La fuga dell’occidente. Le mostruose immagini che ormai da giorni continuano ad arrivare dall’aeroporto di Kabul – dove ieri alcuni attacchi kamikaze hanno ucciso più di 60 persone, tra cui alcuni bambini e marines –  hanno contribuito a creare nell’opinione pubblica una forma di indignazione trasversale verso tutto ciò che può rappresentare il collasso afghano per ciascuno di noi. Le sfumature dell’indignazione sono molto diverse l’una con l’altra e negli ultimi giorni molti osservatori hanno cercato di offrire spunti a loro modo creativi per provare a rispondere alla domanda delle domande: esattamente, da cosa scappano tutti?

La risposta più semplice, ovviamente, è che gli afghani disperati e gli occidentali impauriti cercano un rifugio per salvarsi dai talebani ma se si ha il coraggio di ragionare a mente lucida sul vero motivo della fuga non si può girare troppo attorno a una verità molto difficile da negare. E la verità è drammaticamente questa: chi scappa dall’Afghanistan non scappa solo dai talebani ma scappa prima di tutto dalla sharia. E se si ha l’onestà di riconoscere una volta per tutte che l’islamismo radicale è intrinsecamente un incubatore di terrore, di odio, di violenza, di soprusi contro le donne, di non rispetto dei diritti umani si dovrebbe riconoscere con altrettanta onestà che chiunque scelga di difendersi dalla stessa sharia da cui scappano gli afghani andrebbe sostenuto senza se e senza ma.

L’islamismo radicale non è dunque, come si sente spesso dire, una risposta legittima contro i presunti soprusi dell’occidente, nel caso specifico dell’Afghanistan il sopruso sarebbe stato quello di offrire libertà a un popolo devastato per decenni dai mullah, ma è al contrario un male profondo che interpreta una missione, che incarna un sogno, che tenta di riportare l’islamismo al secolo della Medina e che per questo minaccia senza esclusioni di colpi tutti coloro che, musulmani compresi, tentano di combatterlo. E per questo, se si parte dall’assunto che la sharia modello Afghanistan è un nemico assoluto da cui difendersi, non si può restare del tutto indifferenti, come purtroppo sta succedendo in queste ore, rispetto a chi nel mondo islamico ha scelto di salutare con molto entusiasmo l’arrivo dei talebani a Kabul. Indignarsi per quello che succede in Afghanistan dovrebbe portare a indignarsi anche per ciò che sta succedendo in medio oriente dove con un tempismo e con un coordinamento impressionante ad aver esultato per la remuntada talebana sono stati neanche a dirlo tutti i nemici di Israele.

Il capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, poche ore dopo l’arrivo a Kabul ha tenuto a far sapere che la fine dell’“occupazione americana è un preludio alla scomparsa di tutte le forze di occupazione, prima fra tutte l’occupazione israeliana della Palestina”. E con la stessa foga il segretario del Consiglio supremo di sicurezza nazionale iraniano, Ali Shamkhani ha twittato un messaggio molto simile, affermando che “il destino degli Stati Uniti in Vietnam e Afghanistan sarà anche il destino immutabile del regime sionista occupante”. La riconquista dell’Afghanistan da parte dei talebani incoraggerà con ogni probabilità gli jihadisti di mezzo mondo a tornare all’azione – Ali Mohammad Ali, ex membro delle forze di sicurezza afghane ha detto giustamente al New York Times che “l’Afghanistan è diventato la Las Vegas dei terroristi, dei radicali e degli estremisti” – e se l’indignazione suscitata dalle scene di terrore che arrivano da Kabul è sincera non dovrebbe essere troppo difficile nei prossimi mesi sapere da che parte stare quando gli emuli dei talebani insieme con i propri fratelli di sharia proveranno, a partire da Israele, ad aggredire, a colpi di terrore, la libertà di qualcun altro. 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.