La presidente di Taiwan Tsai Ing-wen riceve la prima dose di vaccino Medigen (Taiwan Presidential Office via AP)

Editoriali

Nazionalismo vaccinale a chi

Redazione

Taiwan costretta a farsi il suo vaccino. Doni e terze dosi. Lezioni per l’Oms

Per mesi, durante la crisi peggiore della pandemia in occidente, Taiwan era vista come una piccola isola di straordinaria capacità di gestione della crisi: pochissimi contagiati, un sistema efficiente di controllo e tracciamento, coordinazione e comunicazione istituzionale. Poi è arrivata la variante Delta: i contagi sono aumentati fino al picco dell’inizio di giugno, per poi calare di nuovo attraverso le misure cautelative classiche: chiusure e isolamento. Il problema è che le autorità taiwanesi hanno atteso troppo nel pianificare la vaccinazione di massa, e a oggi solo il 5 per cento della popolazione di 23,5 milioni di persone è completamente vaccinata.

 

L’attendismo da parte del governo di Taipei aveva un motivo: stava aspettando i risultati del vaccino Medigen, il primo sviluppato completamente da Taiwan. L’altro ieri finalmente la presidente Tsai Ing-wen ha ricevuto la sua prima dose di vaccino, tra le critiche del partito d’opposizione Kuomintang. Tutti i paesi sono caduti a un certo punto nella trappola dell’orgoglio del proprio vaccino, perfino l’Italia, speranzosa con il suo Reithera, anche se più il tempo passa più la necessità di mettere in sicurezza la popolazione diventa urgente. Per Taiwan, però, le cose sono più complicate dei paesi regolarmente riconosciuti dal resto del mondo: è noto quante difficoltà abbia avuto Taipei nell’assicurarsi i vaccini stranieri, e alla fine ha dovuto fare delle scelte: non per tentare la via della diplomazia vaccinale, come la Cina o la Russia, ma per mettere in sicurezza la propria popolazione.

Allo stesso modo chi lancia facili accuse di nazionalismo vaccinale, come l’Organizzazione mondiale della sanità, che denuncia la decisione di America, Germania e Israele di autorizzare la terza dose prima di assicurare i vaccini ai paesi in via di sviluppo, dimentica che l’America è il più grande donatore di vaccini del mondo – vaccini efficaci e sicuri, e non usati come strumenti politici come quelli cinesi. La facile retorica è controproducente, in un clima sempre più polarizzato.

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