Un horror internazionale a puntate

Collasso afghano, episodio secondo

Daniele Raineri

Questa volta i talebani si sono fatti furbi e attaccano prima il nord. Biden risponde con un brodino

Prologo. Nel 2001 il gruppo terroristico al Qaida attacca Manhattan e il Pentagono e uccide migliaia di persone. Al Qaida è ospite dei fanatici talebani in Afghanistan. Gli americani intervengono, disperdono i talebani e minacciano in privato il loro sponsor, il confinante Pakistan: “Se non cooperate, vi facciamo tornare all’età della pietra a suon di bombe”. Talebani e al Qaida non spariscono. La strategia è aspettare e combattere una guerriglia di logoramento, prima o poi i governi occidentali si stancheranno dell’Afghanistan. “Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo”, dicono. I servizi del Pakistan aiutano sottobanco. Passano vent’anni. Prima il presidente repubblicano Trump e poi il democratico Biden ordinano il ritiro e annunciano che i talebani faranno la pace con il governo afghano. Ma non c’è nessuna pace. Nelle città, le donne temono il ritorno dei fanatici. 
 

Che scelte fareste se qualcuno vi desse la chance di tornare indietro nel tempo e rifare daccapo le stesse cose ma meglio? Ai guerriglieri talebani è stata data questa opportunità e non la stanno sprecando. Stanno conquistando di nuovo l’Afghanistan con una campagna militare irruente e rapida come negli anni Novanta, ma questa volta hanno cominciato dal nord per mettere fuori combattimento prima i loro oppositori più temibili. Più di venti anni fa c’era la cosiddetta Alleanza del nord – un assortimento di milizie comandate dal famoso Ahmad Massoud, il leone del Panshir – che impedì ai talebani di prendersi tutto il paese. Quando gli americani nell’ottobre 2001 decisero di intervenire in Afghanistan, trovarono nell’Alleanza del nord dei preziosi alleati già pronti sul terreno. Sono di quei giorni le immagini degli uomini delle Forze speciali americane e della Cia che si spostano a cavallo sul terreno accidentato assieme ai combattenti locali. I terroristi di al Qaida sapevano che gli americani sarebbero arrivati in Afghanistan dopo gli attentati a New York e a Washington e come misura preventiva decisero di uccidere proprio Massoud, per eliminare quello che a ragione pensavano sarebbe diventato l’alleato più formidabile degli americani. Gli mandarono due attentatori suicidi, con una bomba nascosta in una telecamera, che finsero di essere giornalisti. I due dopo tre giorni di attesa ottennero un’intervista e quando furono al suo cospetto si fecero saltare in aria. 

 

Se si guarda la mappa dei distretti catturati in questi giorni dai talebani si vede che sono soprattutto al nord. Quattordici su diciassette nella provincia di Takhar, ventidue su ventotto nella provincia di Badakhshan, da dove gli estremisti possono minacciare in via diretta proprio il Panshir di Massoud. La storia si ripete e questa volta i talebani sanno cosa fare. Nel Badakhshan la capitale locale, Faizabad, potrebbe essere la prima del paese a cadere nelle mani dei guerriglieri. Sabato si è formata una ressa di funzionari governativi atterriti sotto alla scaletta dell’aereo che portava a Kabul e i piloti hanno dovuto fare la selezione dei passeggeri da ammettere a bordo. Il governo centrale ha mandato alcune truppe scelte, trecento uomini, a rafforzare le difese di Faizabad, guidati si dice da Kosh Sadat (un alto ufficiale che nel 2017 scrisse su Foreign Affairs con l’ex generale americano Stanley McChrystal un breve saggio per dire: meglio se gli americani restano). Ma la città è quasi del tutto circondata e la situazione è seria. I talebani, inclusi volontari uzbeki, pachistani e ceceni,  hanno conquistato la maggior parte del confine afghano con il Tagikistan, a nord, e anche il valico di frontiera di Shar Khan Bandar, con il suo  ponte in acciaio di quasi settecento metri che agli americani costò quaranta milioni di dollari nel 2007. Ora lo controllano i talebani e grazie a un accordo tacito con il governo tagiko – “fate come se non fosse cambiato nulla” – sono loro a incassare la tassa di passaggio, annunciava ieri il Wall Street Journal. Domenica mille soldati afghani sono scappati in Tagikistan per non farsi catturare dai talebani. 

 

Se i giornali vedono questa disfatta in diretta, è pacifico che anche l’Amministrazione Biden se ne sia accorta e che abbia informazioni migliori. Per ora non reagisce, se non con palliativi patetici: il comandante dei soldati americani in Afghanistan, il generale Austin Miller che doveva rientrare negli Stati Uniti venerdì scorso, resterà a Kabul per altre due settimane. Non si sa come questo annuncio potrebbe rallentare la campagna militare dei talebani. L’impressione è che la strategia non dichiarata dell’Amministrazione americana sia accettare le conquiste dei talebani e vedere se qualche altro paese nella regione, come la Cina o la Russia o l’Iran, preoccupato dall’ascesa degli estremisti, si farà avanti per fare quello che prima era lasciato ai soldati e ai contribuenti americani.  

 

La prima puntata di Collasso in Afghanistan potete leggerla qui 

Di più su questi argomenti:
  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)