L'intervista

Non importiamo la cancel culture

Mauro Zanon

La ministra per le Pari opportunità francese, Elisabeth Moreno, ci dice che “osservare il passato con gli occhi del 2021 non è il modo migliore per trattare i problemi di oggi”. Il manifesto di una figlia della diversité 

Un mese fa, intervistata da bloomberg.tv, Élisabeth Moreno, ministra francese delle Pari opportunità e della Diversità, disse che “la cultura woke è molto pericolosa” e che non bisogna “importarla in Francia”. Martedì, in una chiacchierata con il Foglio sui suoi dossier e progetti di legge in materia di égalité, la Moreno ha ribadito con toni altrettanto decisi la sua ostilità alla nuova ideologia made in Usa, alla cancel culture che una certa sinistra francese cerca di importare anche a Parigi. “La mia posizione è molto chiara: osservare il passato con lo sguardo del 2021 non è il modo migliore per trattare i problemi di oggi. Nessuno di noi può tornare indietro, la storia non può essere cambiata, ma possiamo trarre lezioni da ciò che è accaduto di negativo, imparare dal passato, per far sì che non vengano riprodotti gli stessi errori”, dice la Moreno, sottolineando l’importanza del “dovere di memoria”. “E’ in questo senso che il presidente della Repubblica ha chiesto allo storico Benjamin Stora di realizzare un lavoro memoriale sulle relazioni tra Francia e Algeria e ha portato avanti un’operazione di riconoscimento delle responsabilità della Francia nel genocidio ruandese”. 

 
Questo è un modo, dice la Moreno, “di guardare la nostra storia in maniera trasparente, con coraggio”. Secondo lei, “se c’è una cosa che questa crisi sanitaria ci ha mostrato è la necessità di solidarietà. Andare dunque a scavare nei meandri della storia per creare divisioni, in un momento in cui c’è soprattutto bisogno di concordia, è pericoloso”. Lo scorso 5 maggio, in occasione del discorso all’Institut de France per il bicentenario della morte di Napoleone, Emmanuel Macron ha sottolineato “la volontà di non arrendersi a quelli che vogliono cancellare il passato col pretesto che non corrisponde all’idea che hanno del presente”, in risposta alla fronda che reclamava di non commemorare il primo imperatore dei francesi perché nel 1802 ha ristabilito la schiavitù che la Convenzione del 1794 aveva abolito. “Napoleone Bonaparte è parte di noi, lo è perché pronunciare il suo nome continua a far vibrare ovunque mille corde del nostro immaginario (…) Lo è poiché, man mano che il suo mito si costruiva, diventava quella parte di Francia che ha conquistato il mondo”, disse il presidente. Pochi giorni fa, nel dipartimento del Lot, prima tappa del suo “Tour de France” per registrare la temperatura del paese profondo e (ri)conquistare le campagne in vista delle presidenziali 2022, Macron ha affermato che la “cancel culture” è un “dramma” al quale bisogna opporre “la politica del riconoscimento”. “Perché tengo a ribadire che la ‘cancel culture’ è pericolosa? La ‘cancel culture’ viene da oltreoceano e gli Stati Uniti e la Francia non hanno affatto la stessa storia. Noi non abbiamo avuto l’apartheid, non c’è mai stata nessuna segregazione, e in più non abbiamo la stessa attualità. Prendere quello che sta avvenendo negli Stati Uniti per trasportarlo in Francia è sbagliato”, dice al Foglio la ministra francese per le Pari opportunità, e aggiunge: “Ciò che mi interessa è osservare quello che avviene oggi, nel 2021, per preparare meglio il futuro, ma senza cancellare il passato”. 


Figlia della diversité – padre muratore e madre che faceva le pulizie, entrambi originari di Capo Verde e analfabeti – Élisabeth Moreno è la conferma che l’ascensore repubblicano non è guasto come molti dicono. La scorsa estate, l’allora direttrice generale di Hewlett-Packard Africa, stava facendo una piccola siesta nella sua casa di Capo Verde quando il premier Jean Castex, da Parigi, ha digitato il suo numero per proporle di diventare la nuova Madame Egalité del governo francese. “L’uguaglianza tra donne e uomini è la causa per cui mi sono battuta durante tutta la vita. La diversità è ciò che sono. E l’uguaglianza delle opportunità è da dove sono partita e dove sono arrivata”, dice la Moreno. Lo scorso gennaio, ha lanciato l’“index de la diversité”, uno strumento che consentirà alle imprese di misurare lo spazio da esse accordato alle minoranze, e agire di conseguenza con politiche di reclutamento più inclusive. “Difendo le quote nel mondo dell’impresa, perché quando nel 2011 è stata votata la legge Copé-Zimmermann (sulla rappresentazione equilibrata di donne e uomini nei consigli di amministrazione e sorveglianza, ndr) nessuno voleva quote. Io, in quanto donna, nera e con un handicap (una malattia all’occhio destro che non le permette di vedere bene, ndr) mai vorrei che qualcuno mi assumesse perché sono una donna, perché sono nera o perché ho un handicap: voglio essere assunta per le mie competenze, per la mia expertise, per il mio savoir-faire. Ma constato che da quando è stata approvata la legge, la percentuale di donne nei cda è passata da 9 a 45 per cento. Significa dunque che le quote possono funzionare. Detto questo, non bisogna imporle in ogni settore”, dice la Moreno. Assieme alla legge per “l’uguaglianza professionale tra donne e uomini”, che dovrebbe essere approvata entro la fine dell’anno, la ministra francese punta molto sul progetto legislativo che mira a “rafforzare i princìpi repubblicani”, anche noto come “loi séparatisme”. Una legge, difesa dal suo collega all’Interno Gérald Darmanin, che consentirà, si spera, di evitare altri “affaire Mila”, dal nome della liceale minacciata di morte e costretta a vivere sotto scorta per aver criticato l’islam. 

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