L'origine del virus

Basta con la guerra dei complottismi sul virus nato in un laboratorio cinese

Paola Peduzzi

Biden vuole un'indagine accurata dell'intelligence sul coronavirus perché spera di placare gli scontri continui sulla questione. Ci sono due estremismi contrapposti (e il solito caos al New York Times)

Due settimane fa, Avril Haines, capo dell’intelligence americana, ha consegnato al presidente Joe Biden un rapporto sulle informazioni a ora conosciute sull’origine del coronavirus in Cina. Questo documento è il frutto del lavoro di molte agenzie ma non giunge a una conclusione precisa: il coronavirus potrebbe avere un’origine naturale (il passaggio da un animale all’uomo) o un’origine incidentale, cioè è fuoriuscito per errore da un laboratorio scientifico nell’area di Wuhan. Parte del Congresso chiede che questo documento venga declassificato, Biden invece ha deciso che questo resoconto è insufficiente e ha chiesto di raccogliere altra intelligence e di presentare i risultati tra novanta giorni.

 

Gli scienziati hanno sempre contemplato entrambe le opzioni, ma se fino a poco tempo fa l’ipotesi del laboratorio era considerata possibile ma non probabile ora è diventata molto più plausibile. Ma poiché la questione dell’origine del virus è stata fin dall’inizio della pandemia connotata dall’orientamento politico, come poi sarebbe accaduto anche con le mascherine, ora il dibattito si è riacceso secondo le stesse logiche di allora, e il cortocircuito dell’ideologia applicata all’informazione era inevitabile. Lo dimostra il fatto che Facebook abbia aggiornato la sua lista delle cose che vengono censurate quando si tratta di Covid: “Non rimuoveremo più dalle nostre app le dichiarazioni sul fatto che il Covid sia ‘fatto dall’uomo’”, ha detto un portavoce.

 
Ma la teoria del laboratorio continua a essere materia altamente politicizzata.

 


Chiedendo al Congresso di poter aver accesso al documento dell’intelligence, il senatore del Missouri Josh Hawley, astro del trumpismo, ha detto: “Per un anno chiunque abbia fatto domande sull’Istituto di virologia di Whuan è stato chiamato complottista. Il mondo deve sapere se questa pandemia è stata il frutto della negligenza del laboratorio di Wuhan”. In realtà questa è proprio la missione che ha anche Biden: la teoria del complotto diventata predominante nel mondo trumpiano e oltre non parla di negligenza, ma del coronavirus come una bioarma progettata in modo artificiale. In più questo complottismo si accompagnava con quell’altro, quello secondo cui la minaccia del virus era esagerata dai liberal: delle due l’una.

 


Ora i trumpiani rivendicano di aver avuto da sempre ragione, e la risposta degli antitrumpiani è a sua volta spesso sbagliata. Il caso di Apoorva Mandavilli, giornalista del New York Times, è in questo senso esemplare. La Mandavilli è una giornalista investigativa che si occupa di scienza e sicurezza sanitaria, quindi molto di Covid, e ha scritto su Twitter: “Un giorno smetteremo di parlare della teoria del virus uscito dal laboratorio e forse ammetteremo perfino che questa teoria ha un’origine razzista. Non è ancora arrivato quel giorno”. Poi ha cancellato questo tweet e ha detto di essersi espressa male, ma già molti (anche suoi colleghi: dentro al New York Times sta succedendo di tutto) denunciavano il fatto che connotare come razzista l’indagine sulle origini del virus è l’estremismo antitrumpiano che impera.

 

L’Amministrazione Biden vorrebbe che si trovassero prove consistenti per capire quale sia stata l’origine del coronavirus: non ha alcuna ragione di proteggere la Cina da questa indagine ma, al contrario, ha molte ragioni per voler mettere fine alla guerra di disinformazione e ideologia che ha scandito l’anno e mezzo di pandemia. Con la consapevolezza che, quale che sia l’origine del virus, c’è stato un ritardo nella reazione a causa della riluttanza di Pechino a fornire informazioni preziose e salvifiche, e che sia l’origine naturale del virus sia l’incidente in laboratorio sono eventi che potranno ripetersi.
 

 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi