L'anticipazione

Blake, la spia del Kgb che confessò per orgoglio

*Simon Kuper

In un libro la storia del diplomatico britannico passato al servizio di Mosca. Qui il racconto di quando svelò il  doppio gioco

Pubblichiamo un estratto del libro “The Happy Traitor, Spies, Lies and Exile in Russia: The Extraordinary Story of George Blake” (Profile Books), scritto da Simon Kuper, editorialista del Financial Times. George Blake, scomparso nel dicembre dello scorso anno, era un diplomatico britannico passato poi con il Kgb sovietico. Qui Blake spiega a Kuper il momento in cui ha confessato il suo doppio gioco agli inglesi.

 

Quando ho chiesto a George Blake cosa avesse provato nel momento in cui era arrivato all’ufficio del personale dei servizi segreti nel centro di Londra nel 1961, ha risposto: “Il gioco è finito”.  I datori di lavoro britannici di Blake stavano per smascherarlo come agente del Kgb.
Il suo collega Harry Shergold – un omino amichevole e senza pretese – lo aveva salutato e gli aveva detto di voler discutere di alcune questioni legate al lavoro che Blake aveva svolto a Berlino. Blake pensava che la conversazione si sarebbe svolta presso la sede centrale di Broadway. Invece, “Shergy” (come era chiamato all’interno del Sis, l’intelligence inglese) lo accompagnò attraverso St James’s Park fino al vecchio ufficio di Blake, la villa con gli stucchi a Carlton Gardens – il luogo migliore, Blake più tardi realizzò, per registrare un interrogatorio. Era arrivato il momento che Blake, che si autodefinisce “realista”, si aspettava da anni. Viste tutte le informazioni sugli inglesi che Blake aveva consegnato a Mosca, era probabilmente inevitabile.

A Carlton Gardens altri due colleghi lo salutarono cordialmente.  Era la resa dei conti finale, e lui avrebbe dovuto affrontarla assieme a quello che era un gruppo molto affiatato. Per i primi due giorni e mezzo di interrogatorio Blake non rivelò nulla. La sera al sospetto agente del Kgb era permesso di tornare a casa di sua madre a Radlett, anche se il Sis prese la precauzione di farlo seguire da qualcuno. Blake dovette fingere con sua madre, la sua confidente più stretta, che tutto andasse bene. La sua strategia sotto interrogatorio era di negare tutto. Quando un inquisitore insinuò che fosse una spia dell’Urss, Blake scoppiò “Assolutamente falso!”
 

Alla terza mattinata, sembrava che il suo continuo negare lo avrebbe levato dai guai. Probabilmente il Sis non aveva prove contro di lui che avrebbero potuto resistere in un tribunale. L’intelligence inglese non si sarebbe mai più fidata di lui, ma gli sarebbe stata concessa un’uscita tranquilla, come a Kim Philby, che dopo aver rassegnato le dimissioni dai servizi perché sospettato di essere un doppio agente aveva lavorato come corrispondente a Beirut. Shergold avrebbe detto più tardi: “Un’altra mezz’ora e Blake sarebbe stato libero”.

 

Poi, all’improvviso, Blake cedette. Accadde quando Shergold gli suggerì che il suo tradimento era comprensibile, quasi scusabile: era stato costretto a farlo a causa delle torture e dei ricatti mentre era prigioniero in Corea del nord durante la guerra di Corea. Blake, secondo la sua stessa ricostruzione, a quel punto gridò ai suoi interrogatori sbalorditi: “No, nessuno mi ha torturato! No, nessuno mi ha ricattato! Io stesso mi sono avvicinato ai sovietici e ho offerto loro i miei servizi di mia spontanea volontà”.

 

Blake deve aver provato la strana tentazione di liberarsi finalmente del suo segreto, in particolare con un gruppo di ascoltatori così comprensivi. La sua unica vulnerabilità durante l’interrogatorio era il suo orgoglio di essere un uomo con le proprie convinzioni. Questo calvinista inflessibile era una spia ideologica – “un fenomeno come questo non si era quasi mai presentato in queste isole negli ultimi quattrocento anni”, osservò il primo ministro britannico, Harold Macmillan. Blake era così ansioso di spiegarsi ai suoi colleghi che per questo sacrificò le proprie speranze di libertà. Divenne insistente (così dicono i file del Sis) nel dire di aver spiato “per motivi puramente ideologici, sebbene in molte occasioni gli fossero state offerte ingenti somme di denaro”.

Avendo confessato, una spia più esperta avrebbe quindi chiesto l’immunità prima di accettare di rivelare di più. Blake non lo fece. Continuò semplicemente a fare rivelazioni, forse contando di avere in cambio qualche forma di clemenza.
A un certo punto durante le sue confessioni chiese: “Vi sto annoiando?”. “Niente affatto”, rispose uno di loro. Tom Bower, il cui libro “The Perfect English Spy” fornisce la descrizione più completa dell’interrogatorio, racconta un’altra meraviglia:

Blake: Forse dovreste darmi una rivoltella e lasciarmi solo nella stanza?
Una voce: Oh no, la situazione non è così grave!

Gli interrogatori rimasero composti, rassicuranti e geniali, sperando che questo traditore stranamente ingenuo continuasse a parlare. In seguito Blake confessò anche alla polizia.

 

Alla spia sovietica fu quindi permesso di trascorrere un’altra notte a casa di sua madre, ma non le fu ancora permesso di dirle alcunché. In seguito lui e i suoi interrogatori si recarono nell’Hampshire, dove Blake fece altre confessioni durante un fine settimana surreale nel cottage di campagna di Shergold. A un certo punto Blake raggiunse la suocera di Shergold in cucina per preparare i pancake per gli agenti del Sis. (Si è sempre vantato del suo talento nel fare i pancake). Blake trovò quella scena “inglese in un modo accattivante”.
Ma non era così accattivante come sembrava. Secondo Michael Randle e Pat Pottle, gli attivisti pacifisti che lo avrebbero aiutato a scappare dal carcere cinque anni dopo, a Blake era stato detto che le autorità stavano valutando se cacciarlo fuori o metterlo sotto processo.

 

Quando il personale del Sis fu informato che Blake era una talpa, alcuni si rifiutarono di crederci. Altri piansero. David Cornwell (vero nome di John le Carré) aveva appena terminato il suo corso di formazione nel Sis, durante il quale aveva appreso “abilità di cui non avrei mai avuto bisogno e che ho subito dimenticato”. Il primo giorno, il capo dell’addestramento disse loro che era stato scoperto un traditore di nome George Blake, ed era scoppiato in lacrime.

 

Le Carré comprese decenni dopo che Blake aveva rivelato “l’intera disposizione del personale dell’MI6, dei rifugi, dell’ordine di battaglia e delle stazioni esterne in tutto il mondo”. Tuttavia, lo choc del tradimento all’interno del servizio fu inferiore a quello del 1963, quando Philby disertò e passò con Mosca. Philby, dopotutto, era un alto funzionario e un gentiluomo britannico, mentre Blake era sempre stato una specie di straniero. Le Carré raccontava di provare “una simpatia innaturale” per Blake, “perché era mezzo olandese e mezzo ebreo, e in entrambi i ruoli una recluta molto improbabile per i servizi segreti dell’establishment britannico… Blake era nato nelle lande del disagio straniero ed etnico, e aveva fatto di tutto per essere accettato da coloro che lo disprezzavano segretamente: i suoi datori di lavoro”.
In Libano, a Gillian Blake, che era incinta, fu detto che suo marito era un agente del Kgb, e lei ci credette immediatamente. “Non dissi: ‘Penso che abbiate trovato l’uomo sbagliato, non può essere vero’. Mentre ripensavo al passato di George e ai sei anni e mezzo della nostra vita insieme molto felice, mi sembrava che in qualche modo tutto tornasse”.

Simon Kuper

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