Un tecnico mostra un campione del vaccino nei laboratori Finlay Vaccine Institute a L'Havana, Cuba (foto Yamil Lage/Pool via AP) 

L'intervista

Perché il vaccino cubano non convince. Parla il prof. Mesa-Lago

Maurizio Stefanini

“Non so se è propaganda ma non mi fiderò fino a quando non saranno state fatte prove con i protocolli richiesti”, dice il docente di economia di Pittsburgh considerato il maggior esperto di economia cubana (anche dalle autorità dell'isola)

“Il vaccino contro il Coronavirus prossimo ai test finali a Cuba. I turisti potrebbero essere vaccinati”: è il titolo in cui il New York Times rilancia i tam tam su un possibile successo dell’industria farmaceutica dell’isola. Ma è un annuncio che non convince Carmelo Mesa-Lago: esule cubano che è considerato oggi il maggior esperto di economia cubana anche dalle autorità dell'isola. Docente emerito di Economia a Pittsburgh dopo essere stato professore visitante a Oxford, Berlino, Monaco, Buenos Aires e Montevideo, Carmelo Mesa-Lega ha scritto 94 libri. “All’inizio le autorità cubane hanno controllato il Covid abbastanza bene. Ma c’è poi stata una ripresa dei contagi e non sono riusciti a contenerla. E ciò ha stroncato il settore turistico”.

  

Per questo offrono il nuovo vaccino gratis ai turisti, come bonus. Il blocco del turismo ha dato un colpo durissimo a una economia già colpita dalla fine del sussidio petrolifero venezuelano. Il Nyt attesta che ormai manca il pane, ma ipotizza che il vaccino permetterebbe un grande rilancio. “Francamente, io non vedo questo successo. La produzione di un vaccino, di qualsiasi vaccino e non solo di quello contro il Covid 19, richiede tutta una serie di prove cliniche con un numero importane di persone. Almeno 10.000. Io non ho visto nessuna pubblicazione a Cuba in cui si dimostri che questi vaccini sono effettivi e che non abbiano conseguenze negative”. Propaganda, allora? “Non so se è propaganda. Dico solo che non ho fiducia in questi vaccini fino a quando non saranno state fatte prove con i protocolli richiesti dalla professione medica e farmaceutica”.

   

Comunque, in attesa che il vaccino abbia successo, la crisi ha obbligato il regime a fare due importanti riforme. Da una parte, dal primo gennaio si è posto fine al regine della doppia valuta, con l’abolizione del peso cubano convertibile (Cuc): al cambio, 108 per un dollaro. Resta solo il peso cubano, al cambio di 24 per un dollaro. “Ed è una riforma importante, che si stava aspettando da almeno 10 anni. Il peso convertibile era un incentivo all’import ed un disincentivo all’export assurdo, dal momento che non era in realtà transato sul mercato internazionale. Moltiplicare i prezzi dell’import per 24 nel lungo periodo sarà positivo, però è stato stabilito un anno di transizione, durante il quale il governo continuerà a dare sussidi alle imprese in perdita. Basterà che queste firmino un impegno ad avere utili entro la fine dell’anno. Così si eviterà per un anno la chiusura di imprese e la disoccupazione, ma ci sarà un eccedente di manodopera che rappresenta disoccupazione occulta”.

   

Si prevede anche una grave inflazione. “Ovviamente. I prezzi di importazione si moltiplicheranno per 24, quelli di produzione nazionale fino al doppio. È stata stabilita una lista di prezzi calmierati in cui stanno 42 tra beni e servizi di prima necessità, per un valore di 1500 pesos. Ma le tariffe dell’elettricità sappiamo che cresceranno tra le 5 e le 10 volte, e quelle del gas 22 volte. I salari sono stati aumentati solo 10 volte, le pensioni un po’ meno. Il governo promette che il valore acquisitivo per i beni di prima necessità verrà mantenuto e anche lievemente aumentato, ma l’esperienza è che tra 1989 e 2019 il potere di acquisto dei salari è crollato del 40 per cento, e quello delle pensioni della metà”.

  

Ci voleva dunque una cura più da cavallo? “Si possono superare le distorsione ai segnali del mercato, che bloccano la crescita, senza per questo rinunciare ad assistere la parte più debole della popolazione. Basterebbe sostituire con sussidi diretti alle persone quel sistema di razionamento per cui il governo sussidia una produzione di beni del cui basso prezzo si avvantaggiano poi anche soggetti al alto reddito”.

  

Comunque da febbraio è scattata un’altra riforma, che ha aumentato il numero delle attività svolgibili da privati da 127 a oltre 2.000. In modo che il settore privato possa impiegare chi non lavorerà più nel settore pubblico. “Ma lo stato se ne è riservate 124. Alcune è ragionevole che lo stato se le riservi: corrispondono a settori riservati al pubblico in molte nazioni, come lo sfruttamento delle miniere. Tra le 2.000 attività liberalizzate c’è lo spazio per una grossa espansione della industria. Ma solo fino a un certo punto, se si continua a limitare l’investimento straniero. In generale, però, le attività liberalizzate sono a basso valore aggiunto. È grave che i professionisti con formazioni universitaria come ingegneri, architetti, medici, avvocati, contabili non possano esercitare in privato: si fa eccezione solo per i veterinari di animali domestici, che suona a presa in giro. I professionisti possono in compenso fare in privato i tassisti, o affittare stanze ai turisti, o aprire trattorie. Così guadagnano 10 o 20 volte di più che nel settore pubblico, e continua la spinta ad emigrare verso altre attività o addirittura all’estero di personale qualificato che è costato molto formare. È vietato anche che i privati gestiscano biblioteche, librerie, giornali, teatri”.

  

E gli intellettuali si sono rimessi a protestare… “Gruppi di intellettuali si sono riuniti di fronte al ministero della cultura. Si sono confrontati col viceministro, sembra che potessero venire alcune concessioni, ma poi il governo si è tirato indietro, e lo stesso ministro e viceministro hanno attaccato fisicamente quelli che protestavano”.

   

Con queste riforme, il modello dovrebbe essere chiaramente e sempre di più quello del socialismo di mercato stile Cina o Vietnam. “Ma non riescono ancora a arrivarci. C’è un gruppo di duri all’interno delle sfere di potere, che teme di perdere il controllo politico se si liberalizza troppo l’economia. In Cina e Vietnam il partito comunista è rimasto saldamente al potere pur liberalizzando l’economia, ma qua dicono che il contesto è diverso perché ci sono gli Stati Uniti vicino. L’economia che l’anno scorso si è contratta dell’11 per cento li obbliga a riformare, ma per paura poi con la sinistra continuano a disfare quello che hanno fatto con la destra”.

 

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