Ci rispondeva al telefono

Il premier libico Serraj si dimette, era una creatura politica dell'Italia

Di Maio lo aveva incontrato due settimane fa, per parlare di accordi economici

Daniele Raineri

Il leader di Tripoli lascia con un discorso in tv, "starò fino alla fine di ottobre", non è riuscito a sopravvivere al trionfo contro il generale Haftar. Era un volto spendibile per gli incontri internazionali, ma da tempo leader più agguerriti e milizie volevano prendere il suo posto. Ora decide la Turchia. Dall'altra parte del paese i pescatori italiani sono ancora prigionieri

Fayez al Serraj, premier del governo di Tripoli, quindi della metà occidentale della Libia, si è dimesso questa sera con un discorso in televisione perché non è stato capace di sopravvivere al trionfo appena ottenuto contro il generale Haftar. “Me ne vado alla fine di ottobre”, ha detto, e quindi sarà ancora presente ai negoziati di Ginevra, il mese prossimo, per stabilizzare la Libia. Sarà poco più di un figurante per badare agli affari correnti. Era chiaro, durante la guerra civile durata un anno e mezzo, che Serraj ormai restava al suo posto di comando perché era una faccia presentabile da spendere negli incontri internazionali, ma che erano le milizie e la Turchia a fare il lavoro sporco e un giorno avrebbero presentato il conto – e lui avrebbe dovuto lasciare il suo posto. Era salito a quell’incarico nel marzo 2016 e tutti sapevano che era una creatura politica dell’Italia, che all’epoca riusciva ancora a farsi ascoltare in Libia: l’azione diplomatica italiana aveva fatto nascere il nuovo governo di Tripoli con l’appoggio della comunità internazionale e degli Stati Uniti. Serraj era arrivato nella capitale libica dal mare, scortato da forze speciali italiane, ed era approdato alla base navale di Abu Sitta. E’ la stessa dove da quattro anni c’è un’imbarcazione veloce che lo aspetta per portarlo via in caso di pericolo, come per esempio una rivolta di questa o di quella milizia. L’Italia ha sempre avuto un piano di evacuazione già pronto per mettere Serraj in salvo via mare – dopo averlo piazzato al vertice per la stessa via. 

Serraj si dimette perché così ha deciso la Turchia, nuovo sponsor dominante a Tripoli, che pure lo appoggia ma ha bisogno di accontentare anche altri, ed è probabile che il suo posto andrà a qualcuno deciso dall’asse turco-misuratino, nel senso della città di Misurata, che ha delle milizie fortissime. Quell’asse fa capo al vice presidente Ahmed Maitig, che oggi era in Turchia, e al ministro dell’Interno Fathi Bashagah, che era anche lui in Turchia fino a pochi giorni fa. Alcune voci diplomatiche insistenti dicevano che giovedì Serraj sarebbe stato presente a un incontro a Parigi, con il presidente francese Emmanuel Macron e il suo arcinemico haftar, ma lui ha negato – è il segno che pure la Francia ha perso la presa sulla Libia.

Più di tutti però l’abbiamo persa noi. Due settimane fa il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, è volato in Libia in entrambi i territori, a occidente e a oriente, per proporre nuovi investimenti e lanciare piani grandiosi che dovrebbero rendere molto alle imprese italiane. Ma a occidente il nostro punto di riferimento, Sarraj, si è appena dimesso – anche se sbrigherà ancora le faccende per qualche settimana. A oriente i libici hanno sequestrato alcuni pescatori italiani con la scusa di una violazione territoriale che non esiste il giorno dopo alla visita di Di Maio e non li stanno restituendo. 

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)