Il Papa e il sultano
L’intervento di Francesco su Santa Sofia è oro per la retorica di Erdogan, che per ora non fa la voce grossa
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Occidente ignavo. Erdogan vuole riportare Allah a Santa Sofia
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La Ricaduta di Costantinopoli
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Erdogan pianta un'altra bandierina
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Il mea culpa senza perdono
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Lo Stato islamico prende una città sulla costa in Mozambico (occhio a Eni)
Roma. La reazione di Ankara alle otto parole pronunciate a braccio domenica all’Angelus dal Papa è stata repentina, quasi che fossero attese. Francesco si è limitato a esprimere il proprio dolore per Santa Sofia, che da fine luglio tornerà a essere moschea aperta al culto. Per ora, il governo turco preferisce usare i toni bassi, confermando che poco o nulla cambierà e che il complesso voluto dall’imperatore Giustiniano resterà aperto a tutti, con i mosaici oscurati da speciali tendaggi solo durante la preghiera islamica. Pochi ci credono, a partire dai leader delle comunità ortodosse locali, che da mesi avevano lanciato l’allarme invocando una presa di posizione politica dell’occidente che è giunta, come spesso accade, tardi. Le promesse del governo turco sono accolte con scetticismo anche perché le scene trasmesse dai media statali venerdì poco dopo l’ufficializzazione della decisione unanime del Consiglio di stato non inducono a immaginare per Ayasofia un futuro quale centro pulsante del dialogo interreligioso. “Allahu akbar” era lo slogan scandito da una folla esultante ben felice di comparire sugli schermi delle televisioni nazionali.
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- Matteo Matzuzzi
Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.