(foto LaPresse)

Effetti collaterali

Ora sarà dura per Trump dire che anche i generali sono fighette radical chic

Daniele Raineri

I vertici militari, in servizio e in congedo, in rotta di collisione con il presidente che vuole usare i soldati contro le proteste

Roma. C’è uno scollamento in atto tra i vertici militari americani, sia in servizio sia in congedo, e l’Amministrazione Trump. Il segretario alla Difesa, Mark Esper, ha detto di essere contrario all’idea di Trump di usare i soldati dentro alle città per dare un segnale forte contro le violenze e i saccheggi di questi giorni. Il capo di Stato maggiore, Mark Milley, ha firmato una lettera circolare destinata a tutti i soldati in cui ricorda che hanno giurato di proteggere i valori costituzionali – ed è una lettera che presa da sola non ha senso, ma messa nel contesto di questi giorni ha un significato straordinario: vuol dire fate attenzione agli ordini che ricevete, devono essere costituzionali. L’ex capo del Pentagono James Mattis ha scritto una lettera aperta contro i vertici militari e contro il presidente Trump che non potrebbe essere più dura. E anche l’ammiraglio Mike Mullen, ex capo di stato maggiore tra il 2007 e il 2011, ha scritto una lettera pubblica per denunciare la situazione. E’ il risultato del tentativo da parte del presidente Trump di trascinare il Pentagono dentro la campagna per riprendere il controllo delle città dalle frange minoritarie di violenti che approfittano delle manifestazioni di massa di questi giorni. E’ una campagna motivata dalla voglia di Trump di proiettare un’immagine forte, da decisionista risoluto – un’immagine messa in crisi prima dall’incertezza contro la pandemia e poi dal nervosismo tradito davanti alle proteste a Washington, che gli hanno valso il nomignolo di bunker boy (perché ha trascorso la notte di sabato dentro il bunker ricavato sotto alla Casa Bianca. E’ una decisione che spetta al suo servizio di protezione, ma lui non voleva che questa cosa si sapesse). 

 

 

Il senatore repubblicano Tom Cotton due giorni fa ha scritto un op-ed per il New York Times in cui invoca l’intervento dei soldati (la pubblicazione ha scatenato un putiferio contro il direttore della sezione op-ed, accusato di portare il Nyt troppo a destra perché non pubblica soltanto interventi in linea con il resto del giornale). I militari temono che però il loro arrivo nelle città sarebbe visto in generale come un intervento contro gli americani che manifestano nelle strade – e che sarebbe difficile giustificare la loro presenza.

 

Questo scollamento tra militari e Amministrazione è molto pericoloso per Trump, perché è complicato dipingere i militari come radical chic di sinistra o come pedine di un complotto, due pezzi forti del suo repertorio che spesso usa per liquidare chi non è d’accordo con lui. Li ha usati persino con la Cia e con l’Fbi, che non sono esattamente due focolai della sinistra radicale americana. Ieri il presidente ha detto che per lui era stato un onore licenziare in tronco Mattis dal posto di segretario alla Difesa, ma è un attacco debole perché era stato lo stesso Trump a nominarlo in quel ruolo. Trump inoltre twitta che lui aveva dato a Mattis il nomignolo di “Mad Dog”, cane pazzo, ma è risaputo che il generale si trascinava dietro quel soprannome dagli anni della guerra in Iraq con i marines. E in ogni caso Mattis non si era fatto licenziare, aveva rassegnato le dimissioni. Nella lettera il generale scrive che Trump è l’unico presidente della storia degli Stati Uniti che tenta di dividere la nazione invece che di unirla e che ha ridicolizzato la Costituzione. “Non avrei mai pensato quando giurai di difendere la Costituzione cinquant’anni fa che a dei soldati sarebbe stato ordinato di violare i diritti costituzionali dei cittadini”.

 

Il capo di stato maggiore Milley lunedì era in mimetica al fianco di Trump nella ormai celebre passeggiata fino alla chiesa di Saint John – quella preceduta dallo sgombero forzato di migliaia di manifestanti pacifici. Il giorno dopo però ha firmato una circolare diretta a tutti i soldati americani che dice: “Abbiamo tutti dedicato le nostre vite a quell’idea che è l’America – rispetteremo quel giuramento e il popolo americano”. Che può suonare un pronunciamento sibillino, ma erano i giorni nei quali gli elicotteri militari si abbassavano sulle proteste per disperderle e 1.600 soldati in servizio attivo (non la Guardia nazionale) aspettavano fuori dalla capitale l’ordine di entrare. Esper e Milley sono entrati in rotta di collisione con il presidente perché vedono il rischio per la Costituzione – e anche per loro stessi, questa presidenza potrebbe finire fra cinque mesi.

 

Per ora lo scollamento non ha ancora fatto vittime, anche se Esper è in bilico. Nel frattempo la Casa Bianca è stata circondata con una nuova barriera di metallo che la rende meglio difendibile – ma che non aiuta a dissolvere l’idea che le proteste contro il razzismo siano anche proteste contro Trump.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)