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Luciana Grosso

Trump ha messo a capo delle Poste americane un suo fedelissimo. Ci si prepara per il voto a distanza (via posta)

Follow the money, si diceva una volta a chi voleva capire qualcosa della politica e del mondo. Per le elezioni presidenziali del 2020, invece, un buon consiglio potrebbe essere Follow the stamps, segui i francobolli.

La ragione di tanta attenzione verso buste e affrancature sta nel fatto che, se (come sembra) da qui all’autunno il CoVid-19 non dovesse scomparire o se, (come si teme) dovesse riacquistare forza e ferocia con il freddo, le elezioni americane potrebbero essere decise dai voti via posta.

 

Nello scenario, ipotetico ma probabile, di una nuova ondata di pandemia, è verosimile pensare che in pochi, tra gli americani, avranno veramente voglia di mettersi in fila per ore, con altre centinaia di persone, per votare. In fondo, anche l’insofferenza (o l’amore) per Donald Trump hanno dei limiti. E alla fine, c’è da pensare che non sia improbabile che, tra il destino della Casa Bianca e quello dei propri polmoni, in molti abbiano più a cuore il secondo e decidano di stare a casa e sia quel che sia.
Così, nei corridoi semideserti di Washington, da settimane il tema che tiene banco è quello del voto a distanza, il che significa via posta.

 

L’idea piace moltissimo ai democratici, che se ne sono fatti alfieri: chiedono a gran voce che i singoli stati consentano il voto a distanza come forma privilegiata e unica per le elezioni 2020. I repubblicani, invece, nicchiano e dicono che non c’è nessun bisogno di implementare il voto per posta, visto che le leggi ci sono già e sino ad ora hanno sempre funzionato.

  




Fonte YouGov


  

Ognuno dei due fronti contrapposti ha ragioni dichiarate (assai nobili) e altre non dichiarate (un po’ meno nobili) per perorare la propria causa. I democratici dicono che il voto per posta potrebbe azzerare i rischi di contagio e tutelare in un sol colpo la democrazia e la salute degli elettori. Omettono però di dire che il voto a distanza potrebbe ampliare la base degli elettori e, in questo modo, fare loro un gran favore. I repubblicani, dal canto loro, dicono che il sistema via posta è pericoloso, perché potrebbe dare origine a frodi e imbrogli (le ricerche dicono non è vero, ma transeat). Omettono però di dire (anche se Trump se l’è lasciato scappare) che allargando la base, il voto via posta porterebbe nelle urne molti più voti democratici del previsto, mentre invece, un po’ di sana fifa del contagio potrebbe tenerli  a casa. 

  

 

Il dibattito si fa più intricato e acceso ogni giorno che passa e, almeno sino ad oggi, si articola su tre lati.

Il primo lato riguarda gli elettori e i voti veri e propri.

Le primarie democratiche (che stanno andando avanti comunque, anche dopo il ritiro di Bernie Sanders e la vittoria di fatto di Joe Biden, perché occorre comunque  scegliere i delegati alla convention estiva) stanno dimostrando che il sistema del voto postale così com’è non funziona. In occasione delle primarie democratiche in Ohio, lo stato ha provato a fare un esperimento e a spostare tutti i voti via posta. Il risultato è stato così così: l’affluenza è stata notevolmente bassa (20%), e in molti (circa 9000 persone) dicono di non aver ricevuto via posta la loro scheda, benché ne avessero fatto richiesta con largo anticipo.

 

 

Il secondo lato riguarda le leggi: quanto a sistemi di voto, in America, ogni stato fa a modo suo.  Solo cinque stati prevedono il voto per posta come forma principale (Colorado, Hawaii, Oregon, Utah e Washington). Nel resto degli stati invece, chi vuole votare per posta deve presentare  una richiesta con varie settimane anticipo per votare per posta, in alcuni casi dicendo anche perché non potrà essere fisicamente al seggio.

 

I democratici si stanno dando da fare sia per far avere più fondi al servizio postale (cosa che Trump, sino ad ora, ha rifiutato di fare) così che possa gestire un maggior flusso di voti postali, sia per presentare ricorsi e richieste ai singoli stati (specie quelli in bilico, come Florida, Pennsylvania e Wisconsin) per avviare leggi locali che trasformino la forma di voto per posta da eccezionale a unica.

Contro di loro il Gop ha schierato il fior fiore dei suoi avvocati a disposizione dei quali è stato messo un budget di circa 10 milioni di dollari, così che possano rispondere colpo su colpo alle richieste di estensione del voto postale fatte dai democratici.

 

Il terzo lato è il più spinoso ed è quello delle istituzioni.

Pochi giorni fa Donald Trump ha messo a capo del servizio Postale americano, lo USPS, un imprenditore del North Carolina Louis DeJoy. La nomina non è del tutto campata per aria perché il servizio postale USA è da tempo in profonda crisi economica e DeJoy è un imprenditore di un certo successo nel settore della logistica. Uno che, in buona sostanza, sa dove mettere le mani. Il problema però è che DeJoy è anche un trumpiano di ferro, tanto da essere a capo del superPAC del North Carolina, uno dei più attivi nel finanziare la campagna del Presidente.

Così, nonostante abbia esperienza e capacità nel settore, di DeJoy nessuno si fida davvero. Anzi. Il vicepresidente del Consiglio dei Governatori per il Servizio Postale, David C. Williams, si è dimesso subito dopo la sua nomina, dicendo che mai fino ad ora il servizio postale aveva subito una così forte politicizzazione. E persino un osservatore repubblicano, Bill Kristol, ha twittato che la nomina di un personaggio così dichiaratamente e smaccatamente vicino al presidente a capo del servizio postale cui saranno affidati i voti degli americani : “È come mettere la volpe a guardia del pollaio”.

 

 

Toni non molto diversi da quelli di Alexandria Ocasio Cortez, che saputa della nomina di DeJoy ha twittato.

 

 

Solo il tempo dirà se i sospetti sia dei repubblicani che dei democratici nutrono circa la terzietà di DeJoy sono fondati. Certo è molto probabile che il prossimo novembre il servizio postale sia al centro dei giochi elettorali. E per questo sarà indispensabile che sia efficiente, veloce, sicuro. E di questo dovrà occuparsi un super trumpiano. Speriamo lo faccia bene, perché – sono i repubblicani a dirlo non noi – il pericolo di frode è dietro l’angolo.

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