Donald Trump (foto LaPresse)

Trump realizza che c'è una crisi, l'America ha un piano coraggioso per l'economia

Daniele Raineri

Congresso e governo vogliono investimenti enormi in infrastrutture, il presidente è sempre grottesco ma va bene nei sondaggi

Roma. Il Congresso e l’Amministrazione Trump temono che il pacchetto da duemila miliardi di dollari approvato appena la settimana scorsa per stimolare l’economia americana messa in crisi dalla pandemia non basti. Per questo hanno cominciato a parlare di un enorme piano di investimenti per ammodernare le infrastrutture del paese – che sono obsolete e in certi casi mancano proprio – e così creare migliaia di posti di lavoro e mettere in circolo denaro. I vertici del Partito democratico si sono visti, a distanza, per decidere le priorità, come rifare le strade e portare ovunque la banda larga. Trump ha dato il suo endorsement con un tweet che parla di un piano “VERY BIG AND BOLD”, molto grande e coraggioso, da altri duemila miliardi di dollari. L’accordo bipartisan sulle infrastrutture è sempre stato considerato una chimera a Washington, ma questa emergenza storica rende possibili molte cose.

 

Il tasso di approvazione degli americani per il presidente Donald Trump non è mai stato così alto come in questi giorni, anche se continua a cambiare posizione e a smentire la posizione che aveva prima e poi a smentire anche la nuova posizione e così via. Perché la sua approvazione sia salita è facile da spiegare, è un riflesso dell’opinione pubblica che avviene spesso durante le crisi, quando ci si raccoglie compatti attorno al leader e cala la voglia di criticare – anche se nel caso dell’America questa spintarella tecnica ai sondaggi a favore del capo al comando è stata minore che in altri paesi. Martedì sera il presidente ha spiegato che il Covid-19 “non è un’influenza”, anche se aveva detto che era un’influenza venerdì scorso. Ha mostrato un grafico che anche noi in Italia abbiamo imparato a conoscere che mostra la curva del contagio e il suo probabile abbattimento dopo le misure di isolamento sociale e ha detto che il numero di morti previste è compreso fra le centomila e le duecentoquarantamila, anche se molti esperti sono perplessi perché Trump ha parlato come se quelle misure fossero già state adottate da tutti gli stati americani, cosa che finora non è successa.

 

Secondo i dati – vedi per esempio i grafici molto chiari elaborati ogni giorno dal Financial Times – l’America è la nazione dove l’accelerazione del contagio è più forte. Nell’ultima settimana ci sono stati centomila casi di persone positive al test, quindi più del numero totale di positivi in Italia, e metà dei nuovi contagiati è stata scoperta negli ultimi cinque giorni come succede quando una curva è esponenziale. Inoltre sappiamo che per ogni positivo c’è un numero variabile di altri infetti che non hanno fatto il test e questo lascia supporre che le dimensioni reali del contagio siano molto più ampie. New York è l’area urbana dove il virus cresce più rapidamente di tutto il mondo e questo spiega le scene da emergenza che vediamo in questi giorni – come l’ospedale da campo montato a Central Park e la nave ospedale della Marina che arriva in porto.

  

 

I giornali americani non sono insensibili allo spettacolo grottesco di un presidente che sembra arrivare per ultimo in tutta la nazione a prendere coscienza della situazione. In molti continuano a fare collezione delle dichiarazioni di Trump e a metterle in ordine cronologico, per mostrare quanto sono contraddittorie o campate in aria. “Sembra che ad aprile, quando farà un po’ più caldo, andrà via come per miracolo. Un giorno sarà come un miracolo e sparirà. Basta stare calmi. Se ne andrà”, aveva detto del mese di aprile cominciato ieri, sei settimane fa. All’epoca il virus era ancora considerato da lui e dai suoi propagandisti una balla velenosa messa in circolo dai democratici. “Sono 600 casi, circa 26 morti nel nostro paese. Se non avessimo agito velocemente, quel numero sarebbe stato sostanzialmente più alto”, disse un mese dopo – senza calcolare che per la natura stessa delle malattie contagiose i casi sarebbero diventati più di 200 mila e le morti circa 4.500. Martedì sera la presa di coscienza: “Ci aspettano settimane molto dure”. 

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)