Benjamin Griveaux (LaPresse)

Tutto parla di sesso, ma poi vince il melodramma mesto dell'ipocrisia

Giuliano Ferrara

Che tristezza il candidato Griveaux che alla fine, nella Parigi di Voltaire, prendendo la via di fuga per una pippa tanto contemporanea, conclude con un semplice e banalissimo: ho famiglia
 

Ammetterete che è un po’ strano. Tutto parla di sesso, da Sanremo alle serie ai programmi tv alla pubblicità di esclusivo o di largo consumo, dalle vetrine più scalcagnate di grandi città, medie città e borghi rurali alle mostre londinesi sul maschio fluid e alle gallerie sotterranee delle metropolitane, parla di sesso il rock, parla di sesso e fa vedere il sesso il cinema, la letteratura per il sesso si emoziona e sbava molto spesso, così la pittura, il sesso non sta solo negli studi degli psicoanalisti ma inonda ogni struttura e cultura della sanità, del benessere, della fitness, è sessuata la paideia infantile e adolescenziale nelle scuole dove si parla di sesso, le medicine che servono a far sesso a ogni età furoreggiano, alla base di divorzio adulterio condom aborto c’è quasi esclusivamente il tema del sesso, la famosa intesa sessuale tamarra o romantica trionfa ed è segno di pudore considerarla centrale nella vita psichica e fisica, ecco, tutto parla di sesso sempre, fino alla noia e all’ottusità, tutto fa immagine del sesso, ma se poi gira su qualche sito specializzato un video a sfondo sessuale per una qualunque pippa trasmessa a un’amica consenziente fuori dal matrimonio, allora viene giù il mondo, il partito del presidente in Francia riceve un duro colpo, il suo cavallo, per quanto politicamente già zoppicante, si ritira dalla corsa per Parigi, e nell’orgia di commenti e dichiarazioni, a partire da quella dell’interessato, si sdipana il melodramma dell’opinionismo compunto, ipocrita, ah che colpi bassi, ah che coup de Jarnac, mannaggia ai social (che palle), alta riflessione su vita privata e vita pubblica, super-meditazione dolorosa, luttuosa, sul tema della famiglia con bambini e moglie militante del marito e della doppia morale, me ne vado per proteggere chi mi vuole bene, adieu, una carriera repubblicana sfolgorante tramonta per un video di autoerotismo. Non sarebbe stato più decente ironico e beffardo dichiarare “ma che volete, amo tanto la morale che ne pratico due”.

  

Il primo che sputtanato sul nulla, per il nulla, con il nulla dice “embè?”, e affronta virilmente o femminilmente le conseguenze dello sputtanamento con ironia, senza scomporsi, merita che gli si eriga un monumento, che gli si canti un carmen saeculare. Oppure in alternativa c’è sempre il modello italiano, il menefreghismo, che fu ideologia odiosa del fascismo combattente ma è anche meraviglioso tratto del carattere nazionale oblioso: da noi un annetto fa il revenge porn si prese il proscenio, diventò una questione nazionale, sfiorò anzi centrò i vertici di parlamento e governo, si ipotizzò una legge che non so che fine abbia fatto, si parlò di dimissioni, espulsioni e non so che altri finti casini, ricatti, pettegolezzi, pruriti, e poi tutti hanno rapidamente dimenticato.

 

Revenge porn, chi? Ma come può esistere il revenge porn, con l’artista russo déraciné parigino e mezzo matto che espone il bravo candidato e si prende la soddisfazione massima, facendo girare il video dell’attouchement, del jerkin’ off, quella di scatenare un terremoto morale di inaudita goffaggine, con tutti lì predicare in quel letto sfatto che è la vita contemporanea il dovere della posizione missionaria e coniugale per i politici al di sopra di ogni sospetto. Si dice “la moglie di Cesare”, niente sospetti. Ma Cesare era noto per essere “il marito di tutte le mogli e la moglie di tutti i mariti”, era il revenge porn della Roma antica tra Repubblica e impero, era l’on line del Foro, e questo non gli ha certo impedito, fino alle Idi di marzo, di agire e vivere come il prototipo del comando, dell’autorità, della guerra come capolavoro tattico e strategico, e di figurare per la storia come uno di più grandi, se non il più grande, scrittore in lingua latina. E anche dopo, a impero dispiegato con i successori di Cesare, mica ci si dimetteva per un epigramma di Marziale o per una satira di Giovenale, il potere sapeva riservarsi la sua lubricità e il suo stoicismo, faceva grandi cose e pagava grandi prezzi dopo aver incamerato formidabili bottini. Che tristezza il candidato Griveaux che alla fine, nella Parigi di Voltaire, conclude mesto a favore di telecamera, prendendo la via di fuga per una pippa tanto contemporanea, un semplice e banalissimo e longanesiano: ho famiglia.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.