Foto LaPresse

Le battaglie per i diritti umani tacciate di ipocrisia, ma le nostre società sono più libere

Pasquale Annicchino

Il caso di Hong Kong e la presa di posizione dell'Amministrazione Trump

Il 3 dicembre la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti ha approvato lo Uyghur Human Rights Policy Act of 2019, una legge già in precedenza approvata all’unanimità al Senato che prevede l’imposizione di sanzioni nei confronti di esponenti del Partito comunista cinese per violazione dei diritti umani della minoranza musulmana nello stato dello Xinjiang. Il testo approvato alla Camera dei rappresentanti, con 407 voti a favore e uno contrario, contiene degli emendamenti rispetto alla versione del Senato e sarà per questo necessario un ulteriore passaggio parlamentare per l’approvazione definitiva. L’approvazione avviene pochi giorni dopo la promulgazione da parte del presidente Donald Trump dell’Hong Kong Human Rights and Democracy Act, una legge da più parti percepita come un supporto all’azione dei movimenti per la democrazia di Hong Kong. Anche per questo motivo ha generato numerose critiche da parte del governo di Pechino. Nel corso degli anni numerosi studiosi hanno criticato l’attivismo unilaterale statunitense nella promozione dei diritti umani, soprattutto del diritto di libertà religiosa, in quanto tale approccio si porrebbe in contrasto con il diritto internazionale e con un necessario approccio multilaterale. Non a caso numerosi esponenti del governo cinese hanno sottolineato come tale legislazione costituisca un’interferenza negli affari interni della Cina che rivelerebbe la “vera natura egemonica statunitense” .

 

In questa prospettiva, nel contesto della comunità internazionale, i singoli stati dovrebbero tacere davanti a violazioni seriali dei diritti umani nell’attesa di un intervento delle istituzioni multilaterali. Lo scenario attuale ci pone però davanti a scelte sempre più complesse e non necessariamente dotate di coerenza granitica. E’ più opportuno attendere l’azione delle Nazioni Unite e delle organizzazioni sovranazionali, sempre più influenzate da governi dispotici che non hanno intenzione di affrontare il tema delle violazioni dei diritti umani, oppure, anche a rischio di facile incoerenza e doppi standard, cercare di tenere alta l’attenzione almeno sui casi più eclatanti anche mediante l’azione unilaterale di singoli Stati?

 

Nonostante il governo cinese continui a negare, numerosi rapporti di organizzazioni non governative e inchieste giornalistiche hanno dimostrato che nello stato dello Xinjiang oltre un milione di persone è stato privato della libertà personale e rinchiuso in “centri di rieducazione” a causa della propria etnia o della propria affiliazione religiosa. Contraddizioni possono essere subito rintracciate in quanto è stato dimostrato che nella sorveglianza di massa in corso in Xinjiang hanno un ruolo da protagonista anche tecnologie prodotte da aziende statunitensi ed occidentali. Tuttavia, kantianamente, riteniamo che l’iniziativa del legislatore statunitense sia da apprezzare. Per dirla con il filosofo di Königsberg: “da un legno storto, come è quello di cui l’uomo è fatto, non può uscire nulla di interamente diritto”. Le contraddizioni occidentali hanno comunque contribuito a creare la società più libera che la storia dell’uomo abbia mai conosciuto.