Sulla Brexit i Tory si stanno riallineando con Johnson
Il premier rinuncia al no deal e scommette sui Comuni per un accordo con l'Ue (sì, nonostante tutto)
Milano. Il governo inglese ha detto ieri che, se non dovesse riuscire a negoziare un altro accordo con l’Unione europea, chiederà un’estensione dell’articolo 50, cioè una proroga rispetto alla scadenza della Brexit, a oggi prevista il 31 ottobre (in realtà l’accordo deve essere siglato entro il Consiglio europeo del 19 ottobre, tra 14 giorni). Il premier Boris Johnson si è rimangiato buona parte della sua retorica, la Brexit senza se e senza ma, il buttarsi nel fosso piuttosto che chiedere un’estensione, e via dicendo: il no deal sembra così scongiurato, come prevede una legge approvata ai Comuni contro il volere dell’esecutivo che quindi sarà rispettata. Il cambio di strategia – una delle rare rassicurazioni da parte dell’attuale governo – ha scatenato reazioni prevedibili: i falchi della Brexit si sentono traditi, gli anti Brexit dicono che Johnson sa solo mentire. Il diavolo però sta nei dettagli, e i dettagli in questi giorni dicono l’indicibile, cioè che le chance che l’eventuale accordo siglato da Londra con Bruxelles ottenga il consenso dei Comuni sono molto aumentate. In altre parole: i Tory si stanno riallineando con il loro leader dopo averlo ripetutamente umiliato in Parlamento e dopo essersi sentiti dare di “zombie” dal loro primo ministro; e l’Europa diventa sempre più il cattivo di questa storia, quello che ha fatto di tutto per osteggiare il desiderio dei britannici di andarsene per la loro strada. Se poi, come sembra, ci saranno delle elezioni che, come sembra, possono essere vinte soltanto dai Tory, il calcolo di Boris Johnson si comprende in tutta la sua forza.
L’Europa sta valutando la proposta sulla Brexit che ha fatto Johnson: ci sono elementi in contrasto con quel che l’Ue ha sempre chiesto, ma al netto dei tecnicismi (è una grossa semplificazione) si tratta di una rivisitazione dell’accordo May – quello bocciato ai Comuni tre volte, anche dall’allora parlamentare Boris Johnson. Quel che all’inizio dell’anno è parso inaccettabile a buona parte dei Tory oggi sembra invece passabile, perché il tempo ha dimostrato che grandi alternative non ce ne sono, perché la paura del no deal è diventata molto alta e perché questo è pur sempre un accordo dei Tory, non un compromesso con il Labour come aveva prospettato la May. Alex Wickham di BuzzFeed, famoso per i suoi conteggi di chi-vota-cosa ai Comuni, ha fatto una nuova lista in cui soppesa il voto del Dup nordirlandese (ha lanciato messaggi non ostili in questi giorni), degli “Spartani”, cioè i 28 euroscettici falchi dei Tory (di cui tre sono diventati ministri), dei 23 conservatori che sono stati espulsi (Rory Stewart ieri ha lasciato il Partito conservatore, altri invece hanno detto che, nonostante tutto, un accordo è meglio che lo stillicidio) e naturalmente i laburisti euroscettici. L’approvazione ai Comuni non sembra più così remota, e anzi l’ineffabile ministro Michael Gove lo ha detto chiaramente: siamo ottimisti.
Nessuno crede più a nulla, nel Regno Unito, men che meno a un premier e a dei ministri che nelle ultime cinque settimane si sono smentiti da soli più e più volte. Ma oggi l’accordo Johnson ha più chance di ieri e la possibilità che i Tory vogliano riprendersi il loro partito per sottrarlo a questo loro leader ingovernabile è molto bassa. Sta ora all’opposizione del Labour decidere da che parte stare: non lo ha mai fatto, magari il proprio consenso stagnante è lo stimolo che serve, la disperazione, si sa, fa miracoli.
l'editoriale dell'elefantino