La polizia spara gas lacrimogeni contro i manifestanti ad Hong Kong (foto LaPresse)

A Hong Kong dopo Pechino il nuovo nemico è la polizia che picchia duro

Giulia Pompili

Tra lacrimogeni e manganelli, le proteste vanno avanti

Roma. Tutto adesso ruota intorno alla polizia. Le Forze dell’ordine di Hong Kong, la loro capacità di proteggere lo stato di diritto, e quindi l’interpretazione dello stato di diritto: è quello di Pechino? Oppure quello di un paese democratico, tenendo fede alla politica del “un paese, due sistemi”? Domenica scorsa, l’ultima manifestazione dei “ragazzi di Hong Kong” – che non sono soltanto ragazzi, perché i più giovani sono in prima linea a prendersi i lacrimogeni ma dietro sono sostenuti da gran parte dei cittadini – è stata tra le più violente sin dall’inizio di questa ondata di proteste, quattro mesi fa. I manifestanti sono stati colpiti da un numero sproporzionato di lacrimogeni e gas urticante, hanno raccontato i media presenti sul posto – compresa la troupe della Cnn che, nonostante l’attrezzatura precauzionale, ha subìto gli effetti delle contro-cariche della polizia. L’obiettivo della manifestazione era portare alla luce le violenze della polizia, mentre quello delle Forze dell’ordine era di non far avvicinare nessun gruppo al Liaison Office di Pechino a Hong Kong, una settimana fa attaccato dai manifestanti e vandalizzato con la vernice. Proteggere i simboli, dopo che la Cina continentale aveva parlato di “attacco diretto” contro il sistema dell’autonomia.

 

Ieri il portavoce dell’Ufficio di Pechino per gli affari di Hong Kong e Macao per la prima volta ha indetto una inusuale conferenza stampa per parlare dei disordini. Yang Guang ha detto che la regione autonoma non può permettersi di essere instabile, che la società ne soffrirebbe, ma soprattutto ha detto che Pechino continua a essere al fianco del governo della chief executive Carrie Lam, e al fianco della polizia di Hong Kong. La polizia, che ha usato “gas lacrimogeni, proiettili di gomma, proiettili a pallini, granate di spugna e spray al peperoncino”, è accusata di aver usato la mano pesante sui manifestanti dai cittadini e anche da alcuni esperti, citati dal New York Times sulla base dell’analisi dei video che circolano online. Ieri il Quotidiano del popolo cinese, espressione del Partito comunista, in un editoriale chiedeva alla polizia di “non esitare e non avere nessun dubbio psicologico nel prendere tutte le decisioni necessarie per ristabilire l’ordine”. E poi: “La polizia deve agire adesso secondo la legge e per punire i violenti”. Il rapporto tra la polizia di Hong Kong e i rappresentanti del governo locale si è ulteriormente deteriorato dopo le accuse di complicità con le triadi, responsabili del violento attacco a Yuen Long la scorsa settimana. Il primo segretario di Hong Kong Matthew Cheung Kin-chung, praticamente la più alta carica del governo locale dopo il capo esecutivo, si è scusato a nome della polizia. Che ha replicato con indignazione: sin dall’inizio di giugno siamo costantemente minacciati, perfino le nostre famiglie, mantenere l’ordine è il nostro sacrificio cancellato da quelle scuse. Per questo motivo ieri il capo della polizia, Stephen Lo, ha scritto una lettera ai trentamila poliziotti, chiedendo loro di “mostrare unità durante questo momento difficile” e di ignorare le accuse.

 

Secondo alcuni analisti tra cui Ben Bland del Lowy institute australiano, adesso si possono prevedere tre scenari: il governo di Hong Kong insieme con quello di Pechino aspettano che il momentum della protesta si plachi, arrestando mano a mano e senza clamore mediatico i leader riconoscibili; la seconda ipotesi – quella meno probabile, a dire di tutti – è che Pechino intervenga direttamente, mandando l’Esercito Popolare di Liberazione a gestire la crisi; la terza ipotesi è che alla fine il governo di Hong Kong si accordi con alcuni gruppi di manifestanti, facendo concessioni non definitive. L’intervento diretto del governo centrale sarebbe un clamoroso autogol per la Cina, che non solo si attirerebbe le critiche internazionali ma rischierebbe di mandare all’aria l’accordo sociale dell’autonomia, stabilito nel 1997 dopo il ritorno dell’ex colonia inglese alla Cina. Il prossimo test per la polizia è previsto per lunedì 5 agosto. Il canale Telegram “Saveinghk” ha diffuso i volantini e le immagini che chiedono alla popolazione di partecipare per quel giorno a uno sciopero generale e a sette diversi cortei.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.