Davanti al ministero della Giustizia in Brasile i manifestanti chiedono la scarcerazione di Luiz Inacio Lula da Silva e l’arresto di Sergio Moro (foto LaPresse)

Come si fa un golpe giudiziario

Angela Nocioni

In Brasile i giudici hanno fatto il regime change a colpi di accuse. Presto altre sorprese

Ora che il pentolone della Mani pulite brasiliana s’è scoperchiato ed è stato drammaticamente smascherato l’ex giudice Sergio Moro – attuale super ministro della giustizia, fino a oggi incerto se candidarsi alle prossime presidenziali o se farsi nominare membro al Tribunale supremo dal presidente Bolsonaro che non sarebbe tale se lui, da magistrato, non gli avesse tolto di mezzo Lula da Silva, candidato favorito alle elezioni dell’ottobre 2018 secondo tutti i sondaggi – i cantori della rivoluzione politica per via giudiziaria, in Brasile e pure qua, seguitano a sostenere che se un condannato è tale una ragione ci sarà.

 

Sergio Moro sembra invece sorpreso dalla diffusione degli screenshot del suo telefonino. Incredulo che la segretezza delle sue conversazioni sia stata illegalmente violata. Da un hacker, dal lavoro di intelligence di chi chissà chi, non si sa.

Ma come, da giudice giuri di voler raddrizzare la schiena al Brasile usando la legge. Nel frattempo ordini le mosse da compiere ai pm, con i quali costituzione e codice penale ti vietano di collaborare. Gioisci con il responsabile della pubblica accusa per i guai che stai procurando al principale imputato, di cui parli con odio come di un tuo nemico personale. Ti scambi complimenti col pm per l’efficacia dell’operazione, gli indichi passo passo gli indizi da raccogliere. E non ti preoccupi nemmeno di fare attenzione a ciò che gli scrivi via chat? Affidi alla nota discrezione dei messaggini audio il giubilo per come state riuscendo a incastrare l’imputato?

Può succedere, quando un paese si mette nelle mani dei magistrati. Succede, se si lascia stracciare il Diritto in nome della Legge.

 

E’ successo domenica in Brasile che il sito Intercept Brasil dell’americano Glenn Greenwald ha pubblicato una prima piccola parte dei messaggi scambiati dall’allora giudice Sergio Moro e Deltan Dallagnol, il coordinatore della Operazione Lava Jato, la mega inchiesta sulla corruzione politica che ha decapitato quasi tutti i partiti e messo in galera i principali politici e i più grandi imprenditori del paese ridisegnando, di fatto, la geografia politica brasiliana. Quel terremoto ha spalancato le porte del Planalto all’ex poliziotto di estrema destra Jair Bolsonaro, riuscito ad accreditarsi come outsider nonostante sieda in parlamento da 28 anni, eletto al ballottaggio con il 53 per cento dei voti provenienti in gran parte dal Brasile bianco, informato e ricco.

Il contenuto dei dialoghi filtrato finora è così esplicito da non lasciar dubbi sulla non imparzialità dei giudici incaricati dei processi che hanno incarcerato, tra altre centinaia di persone, l’ex presidente Lula da Silva costretto a ritirarsi dalla corsa al Planalto.

 

L’imbarazzo degli interessati è totale. Nessuno ha smentito il contenuto dello scoop che mostra come Moro influisse pesantemente nella raccolta degli indizi che poi era chiamato a giudicare. Basterebbe questo, secondo la legge brasiliana, per invocare la nullità dei processi. Intercept dice di avere ricevuto il materiale da fonte anonima settimane fa e di avere ancora molte sorprese da parte. Il fatto che l’oggetto dello scoop sia stato raccolto illegalmente, dettaglio fondamentale che il sito nega, non lo rende utilizzabile per procedere contro i giudici. Andrebbe acquisito tutto di nuovo per via legale. E’ utilizzabile invece dalla difesa dei condannati.

 

Gli avvocati di Lula si sono scatenati. La sentenza di condanna dell’ex presidente è molto lacunosa ed è stata da tempo smontata, punto per punto, da un esercito di giuristi. Ma ciò serve a poco. Con la pubblicazione dei messaggini di Moro è spuntata la prova per chiedere la nullità del processo. Resta il fatto che l’ex presidente, in attesa di andare ai domiciliari, a breve sarà giudicato in primo grado in un altro processo, sempre passato per la scrivania dell’allora giudice Moro, in cui gli si imputa d’aver ricevuto come tangente la possibilità di usare come se fosse sua una villa di campagna vicino San Paolo, considerata di sua proprietà dall’accusa. Quindi, anche qualora fosse possibile annullare il processo per il quale Lula è attualmente in galera, resterebbero in piedi gli altri processi nei quali è coinvolto (cinque in tutto) cominciando da quello sulla villa di campagna.

 

L’inchiesta contro Lula e contro altre centinaia di persone ha creato un “diritto” di tipo nuovo con regole tutte sue

Lula è in galera perché condannato per i lavori per la ristrutturazione di un attico, in una località balneare del litorale di San Paolo. Quella ristrutturazione, secondo i giudici di prima e secondo grado, nasconderebbe il pagamento di una tangente di circa un milione di euro da parte di una impresa di costruzioni beneficiata dal sistema di tangenti di cui Lula è considerato essere stato a conoscenza.

 

La difesa dell’ex presidente ha sempre contestato, tra altri moltissimi rilievi, il fatto che la proprietà di quell’appartamento non può esser fatta risalire a Lula perché non esiste un documento di proprietà, un atto di compravendita, nulla. Moro disse in proposito che “nei reati di riciclaggio il giudice non può attenersi unicamente alla titolarità formale dei beni” sostenendo che quell’attico fosse di fatto a disposizione dell’ex presidente. Che, però, non l’ha mai abitato nemmeno per un giorno.

 

Prima dell’apertura del processo che andrà a sentenza tra pochi giorni e prima di essere nominato ministro, Sergio Moro rilasciò una lunga intervista al quotidiano “Folha de Sao Paulo” un’interessante intervista-manifesto. Questi i passaggi principali.

Dice Moro: “Purtroppo io vedo l’assenza di vigore da parte delle autorità politiche brasiliane contro la corruzione. Rimane l’impressione che la lotta contro la corruzione sia un obiettivo unico ed esclusivo di poliziotti, pm e giudici”. Alle critiche per aver accordato benefici a colpevoli prima ancora che firmassero il contratto di “delação premiada” (delazione premiata, la lingua brasiliana è più schietta della nostra in questo caso) scarcerazione immediata o rinuncia a procedere giudiziariamente in cambio della denuncia a carico di terze persone, Moro risponde che “il diritto non è una scienza esatta”.

Rivendica anche la opportunità dell’intercettazione nel 2016 della telefonata, poi resa pubblica, tra l’allora presidente della Repubblica Dilma Rousseff e Lula da Silva, in cui i due parlavano della nomina pronta per Lula per farlo entrare nel governo. “La gente aveva diritto di conoscere il contenuto di quel dialogo” sostiene Moro.

  

I magistrati violavano la legge e si scambiavano messaggi come adolescenti. Ora non sono in grado di smentire quelle chat

Il giornalista della Folha gli ricorda che alcune sentenze della Lava Jato non si basano su prove. Moro elogia la prova indiziaria: “Esistono sia la prova diretta sia la prova indiretta, ossia la prova indiziaria. Per rimanere nell’esempio classico: un testimone che vede un omicidio offre una prova diretta. Un testimone che non ha visto l’omicidio, ma ha visto qualcuno lasciare il luogo del reato con in mano un’arma fumante, offre una prova indiretta. Quella persona non ha visto il fatto, ma ha visto qualcosa da cui si deduce chi è il colpevole. Quando il giudice decide, valuta sia le prove dirette sia quelle indirette, non c’è niente di straordinario in questo”.

Gli ricordano che il giudice del tribunale supremo Gilmar Mendes, grande nemico di Lula ma anche uno dei principali critici della Lava Jato, afferma che “la Lava Jato ha creato un diritto penale a parte”, ha inventato “norme che non hanno nulla a che vedere con la legge”. Moro nega: “Qui non esiste nessun diritto straordinario. Per interrompere il ciclo dei reati era necessario prendere misure drastiche, per esempio l’uso della prigione preventiva”.

Moro rivendica tutti gli strappi compiuti allo stato di diritto: benefici ai delatori, uso e abuso delle prove indiziarie e della prigione preventiva. “Non stiamo cambiando il diritto penale in nessun modo. L’inchiesta rivela semplicemente che l’impunità nei reati di corruzione non è più una regola di Brasile”.

 

Sull’onda di questo personaggio da giustiziere inflessibile che è riuscito ad arrestare la volpe Lula (così Moro s’è sempre presentato al mondo) ha accettato, poco tempo dopo, la nomina a ministro della giustizia avuta da un presidente che mai sarebbe diventato tale senza quell’arresto. Non bastava questo, a gridare allo scandalo? A far dubitare dell’imparzialità del giudice? No, non bastava, nessuno ha fatto una piega in Brasile né qui alla notizia.

E’ lo stato di diritto in Brasile, tanto quanto Lula, ad essere stato danneggiato dal caso Moro, che avrebbe dovuto porre anche ai più acerrimi nemici del partito di Lula interrogativi sulla limpidezza dei processi della Lava Jato. Da anni, non da domenica scorsa. Invece c’è voluta la diffusione degli screenshot del telefonino di Sergio Moro per far chiedere al Brasile se, per caso, si sia scelto per giustiziere un giudice di parte, gonfio di vanità, tanto accorto da lasciare tracce come un adolescente distratto.