Nemici-amici. Abe vuole Trump dalla sua parte, e lo invita perfino a vedere il sumo
Il presidente americano in Giappone e lo “scontro culturale”
Roma. Da settimane si parla di un possibile “scontro di civiltà” tra America e Cina. Un dibattito accademico che è diventato tutto politico, quando certi argomenti sono stati utilizzati dal policy planner del dipartimento di stato americano, Kiron Skinner, per spiegare la guerra commerciale, e poi sono stati ripresi e usati in chiave antiamericana dal presidente cinese Xi Jinping. Non sarà uno scontro di civiltà, ma potrebbe essere uno “scontro culturale” altrettanto significativo quello che si sta per verificare a Tokyo, dove oggi inizia la visita di stato del presidente americano Donald Trump. Il Giappone è un alleato tradizionale dell’America, ma sin dal 2016 – cioè dall’elezione del tycoon alla Casa Bianca – le cose non si sono messe benissimo.
Oggi il presidente americano arriva a Tokyo e qui dovrebbe avere l’onore di essere il primo capo di stato a incontrare il neo imperatore Naruhito. Però tutti ricordano quella volta in cui incontrò suo padre, Akihito, e con l’aria di chi non avesse idea di cosa sia l’etichetta imperiale gli aveva fatto un pat pat sulla spalla. Non solo: per compiacere il presidente Trump – che è un appassionato di wrestling americano, un finto sport per supertruci – il governo di Tokyo ha pensato di invitarlo a un torneo di sumo. Solo che il sumo è l’arte marziale più vicina alla religione, con i suoi riti e le sue tradizioni, e chi sta intorno all’area di gara (che si chiama dohyo, non ring, tanto per cominciare) si siede sui tatami. Per i capi di stato c’è il palco imperiale, ma per qualche motivo Trump e la first lady Melania non hanno voluto stare così lontani, in alto, e avranno a disposizione due sedie posizionate vicino ai lottatori (due sedie!, sacrilegio!).
Nel 2016 il primo ministro Abe aveva puntato tutto su Hillary Clinton, e fu una sorpresa anche per il governo di Tokyo l’elezione di Trump: Abe tentò di recuperare con una visita last minute alla Trump Tower, non prima di aver studiato “il caso Trump”, e cercare di trasformarsi nel “migliore amico” del nuovo inquilino della Casa Bianca. Il rapporto, però, sembra tutt’oggi un po’ sbilanciato: mentre Abe fa di tutto per piacere a Trump, quello lo ripaga mettendo i dazi sull’alluminio e l’acciaio giapponesi, minacciando continuamente dazi sulle auto e altri beni, e “una preoccupazione ancora più allarmante è l’incerto giudizio di Trump per l’importanza strategica dell’alleanza tra Giappone-Stati Uniti”, ha scritto sul Diplomat Weston S. Konishi. “Le sue dichiarazioni sulla Nato e sugli altri partner dell’alleanza ci suggeriscono una visione del mondo puramente transazionale, in gran parte ignara della delicata natura della diplomazia delle alleanze. Una guerra commerciale o una spaccatura tra i due leader potrebbe mettere a repentaglio un’alleanza da cui dipende il Giappone per scoraggiare gravi minacce come quella cinese o della Corea del nord”. Non è un caso se ogni volta che si tratta di negoziare tra leader, Abe è “costretto” a mettere il suo completino da golf e fare ore e ore di sessioni con Trump, si direbbe per compiacerlo – in Giappone raramente lo hanno visto sul campo, pare abbia fatto delle lezioni esclusivamente per migliorare la sua capacità negoziale con The Donald. Al loro primo incontro da leader, Abe gli portò in dono una mazza da golf d’oro, un regalo tanto pacchiano quanto apprezzato. Tre mesi fa, Trump si era fatto scappare con la stampa che Shinzo Abe lo aveva nominato per il premio Nobel per la Pace per i suoi “sforzi per risolvere la situazione nordcoreana”. La stampa gli aveva chiesto conto della faccenda, e lui non aveva potuto smentire (che è come confermare, in certi casi). Poi alcuni giornali avevano tirato fuori la verità: la Casa Bianca aveva “suggerito” al governo giapponese di scrivere la lettera all’Accademia reale svedese. I risultati, soprattutto diplomatici, di questa visita di Trump a Tokyo determineranno forse anche i prossimi rapporti tra il Giappone e la Cina – e per Abe Xi, in questo caso, è l’amico che almeno non ti maltratta pubblicamente.
la sconfitta del dittatore