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L'ultimo consiglio sofferto della May e i cannibali che ora scalpitano

Paola Peduzzi

Annunciando le sue dimissioni, la premier britannica dice: “La vita dipende dai compromessi”. I favoriti per la successione

Milano. La voce infine si è spezzata, “non ce l’ho fatta”, ha detto Theresa May annunciando le dimissioni da primo ministro britannico a partire dal 7 giugno: prima dovrà gestire l’esito elettorale delle europee – che i sondaggi dicono disastroso – e l’arrivo a Londra del presidente Donald Trump; poi, dal 10 giugno, inizierà la gara interna ai Tory per la successione. 

   

Il sole mattutino, il podio davanti alla celebre porta di Downing Street, i passi per arrivare al microfono e dire che in democrazia se fai parlare il popolo poi devi dare seguito alle sue scelte. Questo voleva fare, la May, consegnare agli inglesi la Brexit votata nel 2016, “ho fatto il meglio che potevo”, ha detto, con la dignità affranta degli sconfitti, ma “non ce l’ho fatta”: il compito spetta a chi verrà dopo di lei, ma nel suo breve, commosso intervento, la May ha voluto dare un’ultima indicazione. “Non dimenticatevi che compromesso non è una brutta parola. La vita dipende dai compromessi”, diceva Sir Nicholas Winton, ed è questo il significato degli ultimi mesi della May, dopo che è riuscita a siglare un accordo con gli europei per la Brexit ma ha tentato tre volte di farlo passare ai Comuni senza riuscirci. Il compromesso non è stato trovato, forse era impossibile per lei farlo, dopo che aveva tracciato linee rosse profonde per poi comprendere – con quel ritardo che è l’errore più grave del suo mandato – che non erano rispettabili: a quel punto, non poteva più convincere nessuno, ognuno aveva un motivo per considerarla una traditrice. Ma senza compromessi la Brexit ordinata è un sogno irraggiungibile, e questo la May l’ha scoperto mentre cominciava la sua ultima stagione da premier, quella delle umiliazioni. Fino all’ultimo, mentre i conservatori non vedevano l’ora di sbarazzarsi di lei e di ristabilire il primato delle antiche fantasie brexitare, la premier ha tentato di fermare il cannibalismo dei suoi ministri e dei suoi compagni di partito: io sono spacciata e lo so, diceva, ma se vogliamo salvarci tutti accordiamoci su un testo e poi il prossimo premier negozierà le relazioni future con l’Ue. Non c’è stato verso. Allora la May ha tentato il compromesso innaturale, quello con il Labour. Non c’è stato verso. E così, mentre gli inglesi votavano e, secondo le proiezioni, sanzionavano il partito al governo e quello all’opposizione incapaci di fornire una prospettiva al Regno, s’è consumata la brutalità dei Tory: te ne vai e lo fai subito.

   

Ora i cannibali dovranno scegliere il loro capobranco e secondo quanto si è raccontato in questi mesi sceglieranno il più feroce: il favorito è Boris Johnson, ex ministro degli Esteri che si dimise in opposizione al primo compromesso trovato dalla May (nella residenza dei Chequers, l’estate scorsa) e che è il più fantasioso di tutti i brexiteers, autore delle bugie più famose che sono state dette sull’uscita del Regno dall’Ue, dai 350 milioni di sterline che l’Europa prenderebbe al paese ogni settimana fino alla costruzione di un ponte con l’Irlanda. Se dovesse arrivare al ballottaggio finale, quando di tutte le candidature ne restano soltanto due, sarebbe lui il successore più probabile – ma ci deve arrivare: ha moltissimi nemici interni, che già nel 2016 boicottarono la sua candidatura, e il cannibalismo non guarda in faccia nessuno. Tra gli altri probabili candidati, i più chiacchierati sono l’ex ministro della Brexit Dominic Raab, il ministro degli Esteri Jeremy Hunt (che i detrattori chiamano “Theresa coi pantaloni”), il camaleontico ministro per l’Ambiente Michael Gove (che tradì Johnson nel 2016), il ministro dell’Interno Sajid Javid. Poi c’è un gruppo di donne – la May oggi ha ricordato di essere stata la seconda donna premier del Regno, “di certo non l’ultima”. Andrea Leadsom si è dimessa da ministro mercoledì, determinando l’accelerazione della dipartita della May: nella contesa del 2016, la Leadsom era stata l’ultima a ritirarsi, oggi secondo molti vuole riprendersi quel che aveva allora ceduto alla May. Tra le altre possibili candidate si parla di Amber Rudd, che è stata ministro dell’Interno e che è votata al compromesso, forse troppo per i cannibali, e di Penny Mordaunt, che nel governo è considerata “la brexiteer quieta”, una delle poche a essere sopravvissuta a tanti rimpasti dettati dagli scontri sulla Brexit. Stando alle copertine che ha conquistato da ultimo, la Mordaunt potrebbe avere quella furbizia vincente che alla May è mancata.

   

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi