A Mosca la parata militare per la vittoria sui nazisti (foto LaPresse)

Il 9 maggio russo sempre immutabile, sempre armato e sempre sotto al sole

Micol Flammini

I carri armati, i missili invincibili e il discorso di Putin

Roma. Si potrebbe fermare il tempo e ritornare sempre qui. Dimenticare tutto quello che succede durante il resto dell’anno, dimenticare i dazi, le minacce e le promesse e ricominciare ogni anno dal nove maggio. Sempre uguale a se stesso, sempre forte, sempre esagerato, sempre armato e soprattutto sempre soleggiato. Il nove maggio a Mosca si celebra il Giorno della vittoria e giovedì, come l’anno precedente, come due anni fa, come sempre dai tempi di Brezhnev, la Piazza Rossa si è riempita di militari, di bandiere e sì, splendeva il sole anche quest’anno. Il presidente russo Vladimir Putin, seduto tra i veterani della Seconda guerra mondiale in uniforme e sfavillanti di medaglie e mostrine, ha visto sfilare i carri armati, i soldati, i missili intercontinentali invincibili, ha visto volare gli aerei. Ha stretto mani, salutato i bambini, si è fermato a lungo tra i reduci di guerra e poi ha preso il microfono per dire che la Russia non smetterà mai di pensare alla propria difesa e che è determinata a far sentire il suo peso sulla scena internazionale. Quest’anno accanto a lui non c’erano dei grandi leader internazionali, nel 2018 arrivò Benjamin Netanyahu con la coccarda di San Giorgio appuntata sul bavero della giacca, il primo ministro israeliano voleva ottenere promesse sull’Iran, e il presidente serbo Aleksandar Vucic, senza coccarda ma desideroso di farsi vedere a Mosca. Quest’anno l’evento è stato povero di capi di stato e di governo, il Cremlino ha cercato di non ingigantire queste assenze che tuttavia si sono fatte notare, hanno parlato da sole in un momento in cui la Russia è sempre più isolata. A Mosca è andato Nursultan Nazarbayev, che ormai non è più nemmeno presidente del Kazakistan, ha rassegnato le sue dimissioni dopo trent’anni al potere, ma ha dato al tutto, a questa sfilata fiera e armata, un tocco antico, una sfumatura di immutabilità.

   

Il Giorno della vittoria tiene assieme tutta la Russia, Mosca la aspetta con voglia di festeggiare, tra bandiere, documentari, canti e bambini che giocano con armi finte, i più grandi si sentono soldati per un giorno, i più piccoli vanno in giro con passeggini a forma di carro armato, con un senso di orgoglio che riempie tutta le strade e in modo particolare la Piazza Rossa. Il Giorno della vittoria è anche la festa della legittimazione e l’usanza non è iniziata con Vladimir Putin, è il racconto, è la propaganda che tratteggia il legame tra la vittoria contro la Germania nazista e il Cremlino. Stalin invece non voleva che della guerra si parlasse, avrebbe rievocato i sacrifici, le perdite, anche Nikita Krushev non era per le parate e preferiva non parlare di guerra. A capire l’importanza di quella vittoria fu Leonid Brezhnev, ma i carri armati in piazza, i missili e l’esposizione sfacciata della potenza armata, che serve più per fini interni di propaganda che esterni, sono arrivati dopo. Al senso di tragedia e di perdita, percepito dai primi capi sovietici, sono stati sostituiti la l’orgoglio e la propaganda, un modo per dire, per gridare, siamo stati grandi, siamo stati forti e possiamo esserlo ancora.

 

L’inno, l’abbraccio di rito ai veterani e poi Putin, vestito di nero, ha fatto il suo discorso, forse il più pacifista tra quelli da lui pronunciati in questa occasione: “Collaboreremo con tutti coloro che sono pronti a resistere al terrorismo e all’estremismo. E’ importante che resistiamo tutti insieme alle idee mortali e invitiamo tutti i paesi a creare con noi un sistema di sicurezza mondiale che sia uguale per tutti”. Chissà volesse essere un timido tentativo di uscire dall’isolamento. Poco distante dalla Piazza Rossa, sfilava invece il Reggimento degli Immortali con fotografie di soldati morti in guerra, cappelli di vecchie uniformi che rimprovera al Cremlino di aver messo da parte la memoria per la propaganda. Il tutto sotto un cielo sempre terso, il nove maggio non piove mai, dicono che il presidente russo spazzi via le nuvole. Ora possiamo riaddormentarci, tra un anno ci sarà il sole, di nuovo. Ci sarà Putin, di nuovo. Ci sarà il missile invincibile, di nuovo.

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