(Foto LaPresse)

In Algeria la stampa d'opposizione sperimenta una nuova libertà

Rolla Scolari

I giornalisti repressi dal regime di Bouteflika ora rivendicano il diritto di fare informazione

“Andatevene”, “L’Algeria dice no”, “No a una mezza rivoluzione”. Le prime pagine del Watan sono esplicite: il quotidiano algerino francofono d’opposizione si è schierato con la piazza fin dal 22 febbraio, dalla prima manifestazione contro un quinto mandato dell’ex presidente Abdelaziz Bouteflika. Lo stesso hanno fatto altri giornali, tra cui Liberté, quello su cui compaiono le irriverenti vignette di Ali Dilem, che racconta l’Algeria e la Francia anche su Charlie Hebdo.

 

Così, le prime pagine urlate della stampa d’opposizione sono state in contrasto con il silenzio sugli eventi della strada nei primi giorni delle marce algerine delle tv di stato, in arabo, francese e berbero. Con l’intensificarsi del dissenso, ci ha raccontato Mourad Slimani, direttore editoriale del Watan, persino i media governativi non hanno però più potuto ignorare la contestazione. La protesta ha investito le redazioni: “Dov’è la stampa?”, gridavano durante le marce i manifestanti. La prima crepa è arrivata quando Nadia Madassi, per 15 anni presentatrice del tg della sera di Canal Algérie, ha dato le dimissioni dopo aver letto alla nazione la lettera in cui Bouteflika, nonostante tre settimane di contestazione, confermava la candidatura a un quinto mandato. Da allora, i giornalisti dei media di stato protestano con sit-in settimanali contro i contenuti dei telegiornali.

  

Le prime pagine, le vignette di Dilem sembrano raccontare un panorama della stampa in Algeria piuttosto aperto rispetto ai paesi vicini. Ma la sede della redazione del Watan svela un’altra storia. Gli uffici spogli e scuri sono all’interno della Maison de la Presse, un compound di basse baracche bianco sporco messo a disposizione dallo stato ai giornalisti nel quartiere popolare di Belouizdad, la Belcourt francese: le strade in cui è cresciuto Albert Camus. El Watan dovrebbe da tempo trovarsi in una sede nuova, un edificio costruito su un terreno del giornale stesso. Non è però mai arrivata l’autorizzazione di abitabilità, e quando due anni fa la redazione ha tentato il trasferimento è intervenuta la polizia.

 

Non esiste in Algeria una controinformazione del regime, poco pratico nell’uso dei social, ci spiega Slimani: “Il controllo sui media passa attraverso la burocrazia e la gestione della pubblicità di stato, organizzata da un’agenzia governativa che la distribuisce. Se ci si allontana da una linea editoriale statale scompare la pubblicità”. I giornali d’opposizione fanno affidamento sull’inserzione privata: negli anni ’90 attraverso il boom degli operatori telefonici e poi, quando l’Algeria ha goduto dei prezzi alti del greggio, attraverso la necessità di visibilità degli importatori. Quando però il Watan dopo l’icuts del presidente nel 2013 ha iniziato “ad assumere un ruolo di contropotere, a parlare della malattia del leader, della sua impossibilità a governare, le cose sono cambiate. Abbiamo iniziato a dare fastidio – dice Slimani – E sono partite le rappresaglie: la pubblicità è calata del 60 per cento. I clienti sparivano senza dare spiegazioni, altri dicevano apertamente perché se ne andavano”. Non era sparito, almeno fino a pochi giorni fa, il maggior cliente pubblicitario del Watan, l’amministratore delegato del gruppo industriale Cevital, Issad Rebrab, editore di Liberté, ricco uomo d’affari che si è sempre presentato come “vittima” del clan Bouteflika e che è stato incluso nelle recenti purghe via arresto di figure vicine al “pouvoir”, che sembrano avere l’obiettivo di sgonfiare la piazza.

 

Con il passare delle settimane, le manifestazioni in Algeria sono diventate una divertita normalità, un dissenso pacifico che cerca una strada per concretizzarsi in cambiamento reale. Nel frattempo, sui media – quelli privati soprattutto – la parola come in strada sembra essersi liberata. Per Khaled Drareni, giovane volto della tv algerina, però, canali come Echourouk, Ennahar, el Bilad non avrebbero fatto alcun passo avanti nella libertà di stampa, “perché in Algeria, uscito di scena Bouteflika, resta sempre una parte non criticabile: il generale capo di stato maggiore Ahmed Gaïd Salah”, gestore oggi del potere.

 

Come la sede di al Watan racconta una metodologia di controllo dei media, la storia personale di Drareni mostra i limiti della libertà di stampa in un paese che rivendica la libertà d’espressione. Nel 2014, due mesi prima delle elezioni presidenziali, Drareni aveva chiesto all’ex premier e allora capo della campagna di Bouteflika, Abdelmalek Sellal, se non pensasse di esagerare nel definire il presidente “un dono di Dio”. Dramma in diretta, Sellal se ne va furioso. Drareni fu messo da parte e poi diede le dimissioni. Passo che, ci ha raccontato, ha ripetuto due giorni prima dell’inizio di queste manifestazione: ha abbandonato la redazione della rete privata Echourouk, per evitare con elezioni alle porte di dover prendere posizione in favore di un quinto mandato di Bouteflika.

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