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La Germania dopo Merkel

Daniel Mosseri

Una successione ordinata a Berlino. La delfina Kramp-Karrenbauer in prima fila per la Cancelleria, a meno di tonfi elettorali della Cdu

Il profilo è sempre stato basso ma in questi giorni è più basso del solito. Certo, quando la premier britannica Theresa May ti viene a trovare chiedendo aiuto sull’inestricabile nodo della Brexit oppure ti devi presentare a un Consiglio europeo a Bruxelles, non c’è modo di sparire davanti alle telecamere. Al netto però degli impegni istituzionali indifferibili, fra i quali la recente inaugurazione di un grande parco eolico sul Mar Baltico, Angela Merkel non si espone troppo, lavorando di preferenza dall’ultimo piano della cancelleria federale. Colpita dalla scomparsa della madre, la 90enne Herlind Kasner, la leader del governo tedesco continua a guidare il paese come sa fare lei, senza polemiche o sbavature. Soprattutto, la cancelliera si tiene accuratamente lontana da un dossier che pure conosce come le sue tasche: la Cdu. Da quando ha ceduto la guida del Partito cristiano democratico, finito poi nella mani della sua delfina Annegret Kramp-Karrenbauer (detta Akk), della dinamica fra e dentro ai partiti Angela Merkel non si occupa più. Ovvero lascia che il corso degli eventi prenda una forma “naturale”: quella cioè da lei stessa predeterminata. E’ stato l’ultimo sondaggio Forsa a certificarlo: se i tedeschi potessero scegliere il prossimo capo del governo in un’elezione diretta convergerebbero proprio su Akk. La 57enne leader della Cdu è forte del 28 per cento dei consensi, una percentuale non propriamente bulgara, ma comunque superiore al 24 per cento attribuito al ben più visibile vicecancelliere e ministro delle Finanze, il socialdemocratico Olaf Scholz, o del 20 per cento assegnato al verde Robert Habeck. In sostanza, la rampolla della cancelliera raccoglie tanti voti quanto pesa oggi la Cdu ma in un anno elettorale, se si punta alla guida del governo, il 29% può non bastare, il che spiega perché Merkel continui a restare in disparte.

 

Secondo un sondaggio Forsa, se i tedeschi potessero scegliere il capo del governo in un’elezione diretta convergerebbero su Akk

Studia da cancelliera non solo respingendo le profferte di Macron ma anche facendosi vedere a Davos e punzecchiando la politica di Trump

Se oggi su Kramp-Karrenbauer convergono idealmente i voti del partito vuol dire che almeno è riuscita a ricompattarlo. Lo scorso dicembre, la balena bianca tedesca arrivò al congresso di Amburgo con ben tre candidati – fatto senza precedenti – tutti intenzionati a raccogliere lo scettro del potere e a riportare la Cdu nell’alveo del centrodestra: Akk, il ministro della Salute Jens Spahn e il redivivo ex capogruppo Friedrich Merz. Spesso definita una cripto-socialdemocratica, Merkel ha puntato sulla candidata secondo lei più in grado di virare a destra senza esagerare. Per il duo Merkel-Akk – perché di un duo si tratta anche se non si fanno mai vedere insieme – la parola d’ordine è dunque integrare: integrare gli elettori di centrodestra, scappati verso i Liberali o per protesta verso AfD, possibilmente senza scoprire troppo il fianco sinistro che Merkel ha così comodamente allargato a danno dei socialdemocratici. Ecco perché secondo Niels Diederich, decano dei politologi alla Freie Universität Berlin,“la cancelliera è in una posizione molto comoda: dopo aver frantumato il principale partito concorrente [la Spd], può concentrarsi sull’attività di governo, lasciando al partito l’incarico di modificare la linea”. Senza scossoni.

 

Certo, l’esecutivo ha appena licenziato un disegno di legge per facilitare le espulsioni dei rifugiati ai quali sia stata rifiutata la domanda di asilo, ma la misura era nel programma di coalizione mentre la Germania, con la sua fame di manodopera qualificata, resta sostanzialmente aperta all’immigrazione regolare.

 

A una Cdu in movimento anche Diederich suggerisce grande cautela: un po’ perché gli strappi non sono nel Dna dei cristiano democratici, “un po’ perché non avrebbe senso modificare la linea in ambito nazionale quando le prime elezioni in vista sono le europee”, osserva il professore. Così, mentre i socialdemocratici si fingevano scandalizzati, è stata la leader della Cdu e non la cancelliera a rispondere picche alle proposte di Emmanuel Macron per una riforma del welfare europeo. Una replica più dura di quella che avrebbe fornito la cancelliera? Forse sì, ma più nei toni che nei contenuti. E chi ha urlato al colpo di Stato da parte della leader del partito lo ha fatto in malafede: Angela Merkel è ancora salda al governo e nella partita con l’Eliseo le fa comodo fare la poliziotta buona, lasciando il compito di quella cattiva alla fidata Kramp-Karrenbauer.

 

La cancelliera ha scelto la stessa strategia anche per vincere il rinnovo delle istituzioni comunitarie, mettendo in campo due punte con caratteristiche simili, in grado cioè di governare con il centrosinistra ma ben sintonizzati sugli elettori moderati: Akk in casa e Manfred Weber a Bruxelles. Così mentre il bavarese candidato alla guida della Commissione Ue si rapporta, bastonandolo, con il primo ministro ungherese Viktor Orbán, la presidente della Cdu sottolinea il suo profilo di cattolica conservatrice ribadendo la sua contrarietà alle nozze gay o al progetto per permettere a cliniche e ospedali di pubblicizzare le interruzioni di gravidanza. Moderata ma non troppo, come Merkel anche Akk sa interpretare i sentimenti più pragmatici del centro, d’altronde la Cdu è per sua natura un Volkspartei. In una recentissima intervista al magazine cattolico Publik-Forum, l’ex governatrice della Saarland si è anche detta favorevole alle donne sacerdote e alla fine del celibato per i preti. Posizioni declinate criticando da un lato la politica della chiesa “che ha sistematicamente ostacolato le indagini sugli abusi contro i minori” ma non l’istituzione. Gli abusi sessuali non sono stati causati dal celibato “e nessun colpevole può dire di essere vittima delle circostanze del sistema della chiesa”. Le responsabilità, in altre parole restano tutte individuali, ha ribadito Akk, spiegando che possibilità per i preti di sposarsi serve a contrastare combattere il calo delle vocazioni, rendendo più appetibile il sacerdozio.

 

La sua manovra di allargamento verso destra è lenta e misurata, così come lenta ma inesorabile è stata quella della sua maestra che, una alla volta, ha sottratto battaglie alla sinistra – dallo stop al nucleare al salario minino, dall’accoglienza ai profughi alle nozze gay – finendo per drenare anche molti voti. Nella sua azione Kramp-Karrenbauer ha Merkel che le protegge le spalle, con un limite: la Annegret nazionale non è un membro del Bundestag, il luogo principe della politica in Germania. Anche per questo motivo Angela Merkel non ha da temere dalla sua erede: da un lato le due donne sono firmatarie di un patto di successione, dall’altro Akk sta conquistando uno a uno tutti i gangli del partito a esclusione di quello che porta direttamente al governo grazie al meccanismo della fiducia.

 

Dalla sua parte la presidente della Cdu ha invece il fattore tempo: abbastanza per consolidare la propria leadership ma non troppo da venire a noia a tedeschi. Sebbene tutti se lo aspettino, nessuno sa se Angela Merkel le lascerà la poltrona di capo del governo prima della fine naturale della legislatura (settembre 2021), tuttavia un calendario non ufficiale esiste già. Le elezioni europee a maggio, il voto in autunno in tre Länder orientali, e infine dalla verifica di governo fra Cdu e Spd scandiscono i tempi della politica tedesca. Un assist indiretto ad Akk potrebbe arrivare dai socialdemocratici: se il risultato nelle quattro elezioni fosse deludente, la Spd potrebbe uscire dalla coalizione, aprendo la crisi. Diversamente la sinistra confermerà il patto di coalizione. Comunque vada, Merkel si presenterà al capo dello stato presentando le proprie carte, fra le quali c’è anche quella che prevede il passaggio dei poteri. A quel punto, sarà il meccanismo delle consultazioni a determinare se Akk potrà diventare cancelliera e con quale maggioranza. Proseguendo in große Koalition oppure tentando l’unica alternativa possibile: la Giamaica. L’alleanza nero (Cdu), giallo (Fdp), Verdi è stata per molte settimane una possibile soluzione politica dopo il voto del settembre 2017. Di certo non sarà Frank-Walter Steinmeier a opporre obiezioni: anche nel passato recente il presidente federale si è dimostrato più interessato alla governabilità che al ricorso alle urne in un paese attraversato da fremiti sovranisti. La Giamaica potrebbe dunque risorgere dalle proprie ceneri: furono i Liberali a farla arenare, una scelta di cui il capo della Fdp, Christian Lindner, si è poi pubblicamente pentito. Eppure l’idea che la Cdu scarichi i socialdemocratici per imbarcare i Grünen tutti clima e rifugiati sembra contraddittoria. “Solo in apparenza”, osserva Diederich. “I nuovi Verdi sono una formazione verbalmente radicale ma non veramente di sinistra: si tratta di un partito di centro della classe media con un tocco liberal”, insiste, sottolineando che la questione ambientale non è da tempo più ascrivibile a una sola parte politica. Considerati in crescita elettorale in tutto il paese, da parte loro i Verdi hanno bisogno di portare a casa il risultato sedendo ai banchi del governo.

 

Akk è riuscita a ricompattare il partito. Merkel ha puntato sulla candidata secondo lei più in grado di virare a destra senza esagerare

Un limite della presidente della Cdu: non è membro del Bundestag, il luogo principe della politica in Germania. Le alternative

E tuttavia, un mese prima delle elezioni europee, la Giamaica resta un esercizio di fantapolitica con molte incognite sulla sua strada. Più notevole è che allo stato non si vede all’orizzonte nessuna notte dei lunghi coltelli: non perché Kramp-Karrenbauer sia buona mentre Merkel che tradì Helmut Kohl a sorpresa con un durissimo un articolo di giornale (era il Natale 1999) fu cattiva – e per inciso Kohl le ha portato rancore per tutta la vita. Dai tempi di Bruto e Cesare il tradimento fa parte del gioco politico: la differenza è che Annegret sa che Angela se ne andrà al più tardi fra due anni, un tempo relativamente breve e del quale la stessa ex governatrice di Saarbrucken ha bisogno “per farsi le ossa”.

 

In questa prospettiva, l’ascesa di Akk al governo sembra ormai ineludibile. Ma se la Cdu dovesse restare delusa dal risultato delle europee prima e da quello in Brandeburgo, Sassonia e Turingia poi, la poltrona delle presidente della Cdu potrebbe iniziare a traballare. Ecco perché in queste settimane Kramp-Karrenbauer si è fatta vedere assieme a Friedrich Merz, il più fiero avversario della cancelleria dentro al partito. Al congresso di Amburgo, la cosiddetta mini-Merkel sconfisse l’anti-Merkel anche grazie al mezzo passo indietro dell’altro candidato, Jens Spahn. Ma se Spahn è giovane (39 anni) e ha tempo per arrivare alla guida del governo, a novembre Merz compirà 64 anni. E poiché a 70 anni i politici tedeschi sono di solito a riposo non è escluso che l’ex capogruppo, oggi facoltoso consulente di BlackRock, tenti un ultimo colpo di coda. Una vendetta consumata non più contro la donna che soffocò la sua carriera politica 17 anni prima ma contro la sua erede politica. L’ambizione di Merz è un fatto noto: appena sconfitto da Akk al congresso della Cdu disse di essere comunque disponibile ad assumere un incarico ministeriale “sulla base della mia esperienza in affari e politica”. L’esperienza non gli manca e per adesso si unisce alla presidente del partito non potendola battere. Atlantista, europeista, conservatore ma non troppo, Merz ha un profilo impeccabile per fare il ministro o il cancelliere – Akk lo sa e se lo tiene vicino per controllarne le mosse. Se Akk sarà forte abbastanza, di Merz non sentiremo più parlare; diversamente un’Akk instabile alla testa di una Cdu ferita e riottosa potrebbe chiamarlo a un ministero economico – d’altronde non è sempre quello che ha fatto la sua maestra con l’eterno numero due Wolfgang Schäuble?

 

I possibili mal di pancia all’interno del partito sono in sostanza la grande vera incognita in un passaggio di consegna altrimenti ben escogitato da essere quasi del tutto indolore. Intanto Akk studia da cancelliera non solo respingendo le profferte di Macron – “non vogliamo un superstato europeo” – ma anche facendosi vedere a Davos, e punzecchiando la politica del presidente Usa Donald Trump, molto sgradito ai tedeschi ancora innamorati di Obama. L’ormai ex mini-Merkel, con la cancelliera sembra spartire “solo” la capacità di scegliere gli alleati politici giusti al momento giusto, e di vincere le elezioni – sebbene per ora solo nella piccola Saarland – grazie alla capacità di ascolto degli elettori. A differenza della sua madrina, Kramp-Karrenbauer risulta però anche più spigliata, a tratti anche assertiva. Come quando a Carnevale ha scherzato con il garbo di un camionista di Dresda sui bagni intersex e poi, travolta dalle critiche, non ha aggiustato il tiro di un millimetro. Anzi, approfittando dei tradizionali raduni dei partiti tedeschi nel mercoledì delle ceneri si è fatta applaudire fragorosamente per aver definito “un’assurdità” il dilagare del politicamente corretto. Nei giorni del Carnevale, un asilo di Amburgo aveva stabilito che i bambini non potessero vestirsi né da indiani d’America né da sceicchi arabi per non incorrere nell’odioso reato di appropriazione culturale. Akk non ci ha pensato due volte: “Desidero una Germania in cui i bambini possano essere semplicemente bambini: dove possano giocare ai cowboy e agli indiani senza che qualcuno dica loro che devono essere culturalmente sensibili”. Parole che fanno breccia nel cuore degli Herr e Frau Müller mentre Frau Merkel dall’ultimo piano della Cancelleria resta in silenzio a guardare.

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