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Il decreto di Putin che trasforma gli ucraini dell'est in russi

Micol Flammini

Per gli abitanti del Donbass sarà più facile avere il passaporto di Mosca, che più che di territori ora ha bisogno di cittadini

Roma. Volodymyr Zelenski stava ancora aspettando le congratulazioni da parte di Mosca, lui giovane presidente neoeletto, inesperto, e ancora indeciso sulla linea politica da seguire. E nel dire, nei giorni successivi alla vittoria di domenica, che non avrebbe telefonato né scritto al suo omologo ucraino, Vladimir Putin aveva già in testa il modo per metterlo alla prova: concedere alla popolazione filorussa delle regioni di Donetsk e Lugansk, nell’Ucraina orientale, la cittadinanza russa. Se ne parlava già da qualche settimana, la guerra nel Donbass con i suoi diecimila morti ha tirato fuori le rabbie e le minacce dell’Ucraina in campagna elettorale, il presidente uscente Petro Poroshenko aveva accusato il suo sfidante Zelenski di essere filorusso, e Zelenski che forse meglio di Poroshenko ha cercato di interpretare e fiutare in che direzione andavano le richieste degli ucraini, aveva promesso che avrebbe cercato non tanto la vittoria dell’esercito ucraino contro i guerriglieri filorussi, quanto un accordo con Mosca. Il Cremlino aveva risposto con prontezza facendo presente che gli piacerebbe tanto raggiungere un accordo, ma in quel Donbass messo a ferro e a fuoco, in quella guerra rovinosa lui non c’entra nulla. Questo è quello che ripete da cinque anni, le cronache raccontano una storia diversa: di mercenari russi, di omini verdi, di armi inviate da Mosca e anche di qualche soldato mandato lì, dove ormai manca tutto, anche l’acqua, ad addestrare i ribelli. Mercoledì Vladimir Putin ha firmato un decreto che renderà più semplice per i cittadini dell’Ucraina orientale richiedere il passaporto russo. Sarà sufficiente presentare alcuni documenti: uno che dichiari di risiedere a Donetsk o a Lugansk, un giuramento di fedeltà nei confronti della Russia e poi la restituzione del passaporto ucraino. Basteranno tre mesi e i filorussi potranno diventare russi, e così Vladimir Putin ha di nuovo allungato le mani sull’Ucraina senza toccarne però i territori. E’ un mossa delicata, una provocazione – Kiev ha già presentato un esposto al Consiglio di sicurezza dell’Onu affinché dimostri che la decisione russa sia in violazione degli accordi internazionali – alla quale il neoeletto Zelenski ha risposto dicendo che si tratta di una conferma, l’ulteriore, del fatto che Mosca stia aggredendo l’Ucraina. L’annessione della Crimea e la guerra nel Donbass hanno condannato Mosca all’isolamento e alle sanzioni occidentale, anche dopo la crisi nel Mare di Azov, quando a novembre la Russia aveva sequestrato tre navi militari di Kiev che cercavano di passare per lo stretto di Kerch sono arrivate nuove sanzioni. Il decreto firmato mercoledì da Putin – che in realtà corregge una norma già esistente che prevedeva che gli abitanti delle province ribelli potessero ottenere la cittadinanza russa in cinque anni – smuoverà sicuramente le critiche della comunità internazionale. Eppure questa volta, rispetto alla solita aggressività dimostrata dalla Russia in Ucraina, Putin è stato più astuto. Il decreto non segna la volontà di Mosca di annettere quelle terre, non ne ha la possibilità, non ora, il Donbass per i russi non ha lo stesso valore simbolico, né economico, della Crimea, ma così la Russia, che ha bisogno di manodopera, potrà beneficiare dell’arrivo di nuovi abitanti che già da tempo passano per quelle frontiere, percorse da persone e armi.

   

   

Secondo alcuni esperti si tratta di un primo regalo avvelenato di Putin a Zelenski, per dimostrare che con un presidente debole la Russia farà ciò che vuole. L’Ucraina si trova ad affrontare una crisi demografica importante, gli abitanti emigrano sia verso ovest sia verso est, lo scorso anno circa tre milioni di ucraini sono emigrati in Russia, e tra le sfide del nuovo capo di stato ci sarà quella di rendere Kiev di nuovo un posto attraente. La prima settimana per il presidente neoeletto e non ancora in carica non è stata semplice, dopo la decisione russa, è arrivato un segnale contro di lui anche da parte del suo stesso Parlamento, in cui è il partito di Poroshenko ad avere ancora la maggioranza: ieri la Rada ha approvato una norma per assicurare che sia l’ucraino l’unica lingua di stato attraverso l’introduzione di ispettori linguistici. Il presidente uscente ha detto che firmerà la legge prima di lasciare l’incarico. Anche questo è un piccolo regalo avvelenato per Zelenski, che all’ucraino preferisce il russo.