Il premier cinese Li Keqiang stringe la mano a Jean-Claude Juncker a Bruxelles (Foto LaPresse)

Il muso duro dell'Unione europea con la Cina

Eugenio Cau

Bruxelles ottiene concessioni soddisfacenti al summit con Pechino, ma le divisioni restano

Milano. L’Unione europea e la Cina hanno trovato un accordo dell’ultimo minuto per rilasciare una dichiarazione congiunta al termine del ventunesimo summit Ue-Cina, un evento che fino a poco tempo fa era una vetrina per i successi diplomatici di Pechino e che oggi è diventato ragione di contesa e dibattito. Nelle sue ultime venti edizioni, il summit Ue-Cina è stato plasmato dalla convinzione europea che la Cina fosse “un nuovo Giappone, con qualche problema di diritti umani” (definizione di Steven Erlanger sul New York Times). In pratica, un partner commerciale eccezionale, da cui trarre quanti più benefici possibile.

 

Il risveglio tardivo è arrivato l’anno scorso, quando l’influenza cinese in Europa, specie nelle sue propaggini dell’est e del sud, è diventata così importante da essere innegabile: la Cina è molto più che un partner commerciale. Così, il mese scorso, è arrivata la designazione di Pechino come “rivale sistemico” dell’Unione europea (poco dopo arrivava anche la firma italiana al memorandum per la Belt and Road Initiative, che tanto ha fatto preoccupare i leader Ue e l’Amministrazione americana). Il comunicato congiunto del summit, che per vent’anni era stato un tripudio di buoni propositi di cooperazione (soltanto due anni fa Pechino e Bruxelles usarono il summit per farsi forza l’una con l’altra davanti alle guerre commerciali di Donald Trump) è diventato terreno di negoziati serrati. Gli europei hanno fatto i duri e hanno cominciato a pretendere dal Partito comunista risultati tangibili su accesso ai rispettivi mercati, sussidi di stato, investimenti e trasferimenti tecnologici forzati: sono riusciti a ottenere risultati perfino soddisfacenti.

 

Fino a pochi giorni fa, infatti, si pensava che al termine del summit non ci sarebbe stato nessun comunicato congiunto, perché le due parti erano troppo lontane da un accordo. Sono stati i negoziatori cinesi, inviando nuove bozze con sempre maggiori concessioni nel corso del fine settimana e di lunedì, a cedere terreno pur di raggiungere un risultato comune. La guerra commerciale con gli Stati Uniti è ancora in corso, e per Pechino era essenziale dare l’idea del “business as usual” almeno con l’Europa, senza aprire un nuovo fronte. Il premier cinese Li Keqiang è atterrato ieri a Bruxelles, e dopo un ultimo round di negoziati i cinesi si sono detti pronti a diverse concessioni significative. Tra queste:

 

-La scadenza del 2020 per il raggiungimento di un accordo complessivo sugli investimenti tra Unione europea e Cina. Questo accordo dovrebbe eliminare o ridurre le enormi barriere d’ingresso al mercato cinese; è in fase di negoziato da quasi un decennio e finora Pechino non aveva mai dato disponibilità precise. L’Europa ha anche ottenuto dalla Cina un impegno per l’accesso non discriminatorio al suo mercato e per la rimozione di alcune barriere chiave prima del prossimo summit.

 

-La conclusione entro il 2019 delle trattative sulla protezione delle indicazioni geografiche.

-La promessa di collaborazione per la riforma dell’Organizzazione mondiale del commercio, con regole più forti sui sussidi industriali.

-Una citazione precisa dei diritti umani, “universali, indivisibili, interdipendenti e interrelati”.

-Più cooperazione nell’affrontare il problema della sovracapacità produttiva dell’acciaio.

-L’impegno di maggiore sostenibilità e trasparenza nei progetti della Belt and Road.

-La promessa, quasi inedita nel suo genere, che “non ci dovrebbero essere trasferimenti tecnologici forzati” (significa: la Cina consente a un’azienda europea di accedere al proprio mercato a patto che l’azienda ceda parte dei suoi segreti industriali).

 

Non tutte queste concessioni cinesi hanno dei meccanismi che garantiscono che la promessa sarà mantenuta (specie la parte sui trasferimenti tecnologici), ma il semplice fatto che la Cina abbia acconsentito su carta è indice di un’unità inedita da parte dell’Ue.

 

Dopo la sua rapida visita a Bruxelles, Li Keqiang trascorrerà ben due giorni in Croazia, dove parteciperà al summit annuale dei 16+1. I sedici sono i paesi dell’est europeo che hanno costituito un gruppo a parte per forgiare rapporti più stretti con la Cina (che sarebbe il “+1”). Di questi 16 paesi, 11 sono membri dell’Ue, e molti hanno firmato il memorandum sulla Bri. Il premier Li spera in un’accoglienza ben più calorosa e soprattutto in molte più soddisfazioni di quante ne abbia ricevute a Bruxelles.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.