Quanto si litiga nella sinistra francese, e sì che le convergenze ci sarebbero
L’arrivo di Glucksmann ha spaccato i socialisti, mentre i verdi e gli altri ex del Ps procedono disuniti (e insultandosi). Il vuoto dell’élite
Milano. “Mi avevano avvertito che entrare in politica è sempre una cosa turbolenta e tumultuosa. Confermo”, ha detto Raphaël Glucksmann ieri a Europe 1, nascondendo con un sorriso questo suo debutto burrascoso nella campagna elettorale francese per le elezioni europee. Glucksmann ha fondato un movimento alla fine dell’anno scorso, Place publique, che aveva come obiettivo quello di “riunire la sinistra” francese, mettere insieme tutte le sue diverse anime sotto un nuovo ombrello, e procedere uniti verso una restaurazione ideale oltre che elettorale. Glucksmann si è così unito al Partito socialista a metà marzo: il consiglio del Ps lo ha poi nominato capolista, con 128 voti favorevoli, 5 contrari, e 35 astenuti (questi ultimi fanno parte della corrente dell’ex ministro Stéphane Le Foll, che si è dimesso dal consiglio per protesta). Questa partnership elettorale, voluta dal leader del Ps Olivier Faure ma ostacolata da molti altri elefanti del partito, è talmente contrastata che due giorni fa Libération, quotidiano di sinistra, ha messo tutti i leader della sinistra francese, piccoli e grandi, attuali ed ex, in copertina spiegando: “Non sono soltanto tutti divisi in vista del voto, nonostante ci siano delle convergenze di fondo evidenti, ma per di più questi leader maschi moltiplicano gli attacchi violenti uno contro l’altro. Facendo disperare i loro elettori”. In copertina c’è anche Jean-Luc Mélenchon, polemista in chief della sinistra radicale francese, ma per lui le divisioni e le convergenze non valgono: non ha un programma europeista ed è da sempre critico con la gauche tradizionale del paese. Divide gli elettori, insomma, ma litiga con il resto della sinistra da molto tempo. Sono gli altri, il problema.
Un deputato socialista intervistato da Libération dice: “Non è particolarmente intelligente partire divisi per le europee, ma vabbè, è un giro elettorale e ognuno si gioca le proprie chance. Io mi preoccupo per il dopo”, quando ci sarà un’altra resa dei conti, estenuante e inutile. I sondaggi (Ifop li fa tutti i giorni, dal lunedì al venerdì) sono tra l’avvilente e il punitivo: il partito presidenziale, La République en marche, assieme all’alleato MoDem è al 22,5 per cento; la lista sovranista del Rassemblement national (Marine Le Pen) è al 21; i gollisti dei Républicains al 14; segue Mélenchon con la France insoumise all’8,5 per cento; e poi inizia lo spezzatino di sinistra: Ps con Place publique al 5 per cento, i Verdi all’8 per cento, Génération-S dell’ex candidato socialista alle tragiche presidenziali del 2017 (prese il 6 per cento al primo e per lui unico turno) Benoît Hamon al 3 per cento. Sommando tutti i consensi si supererebbe per un pelo la destra: stiamo sempre parlando di macerie politiche dopo lo smottamento del duello macroniano-lepenista, ma sarebbe comunque meglio di questo procedere disuniti e arrabbiati. Per di più, i programmi non sono molto diversi, le idee di riferimento non sono molto diverse, la convergenza di cui parlano tutti i commentatori in linea ideale ci sarebbe. Sono le persone che non riescono ad andare d’accordo, condannandosi all’irrilevanza collettiva (gli individui possono salvarsi, visto che alle europee c’è il sistema proporzionale, ma la rifondazione della sinistra è proprio un’altra cosa). Il leader dei Verdi, Yannick Jadot, rifiuta ogni alleanza, lui che invece soltanto due anni fa per sostenere la causa della gauche si era accodato ad Hamon. Il quale oggi rinnega l’amore del passato: mi avevano avvertito che Jadot era inaffidabile, dice Hamon, avrei dovuto ascoltarli. Anche il Ps è arrabbiato per la mancata alleanza con la lista ecologista: Jadot è “un egoista, pensa solo a se stesso”, ha detto il leader socialista Faure.
Tra i socialisti c’è chi spera addirittura nel fallimento dell’alleanza con Place publique: sconfitta per sconfitta, almeno godiamoci la vendetta nei confronti di questo corpo estraneo (Glucksmann) che, dopo aver flirtato con il macronismo, si è inventato “rassembleur” della sinistra. Tra questi c’è anche François Hollande che ha appena ripubblicato il suo libro “Leçons du pouvoir” con tre nuovi capitoli in cui dice che presto o tardi l’estrema destra prenderà il potere se la sinistra non riesce a riorganizzarsi. Ma non è quello che sta tentando di fare? Secondo Hollande (che per quanto voglia fare l’ex super partes ha molte responsabilità nell’annegamento del Ps) l’alleanza con Place publique, movimento “senza consistenza”, non è la strada giusta.
Così, di lite in lite, non c’è nessun partito di sinistra sopra al dieci per cento, il fuoco amico è mortale, le possibilità di alleanze sono ridotte a zero. E come se non bastasse è tutta una lotta tra bobos, istantanea straziante del vuoto delle élite.
la sconfitta del dittatore