L'ultimo abbraccio all'Europa

La piazza di Londra prova a rovesciare la Brexit all'ultimo minuto. Gli slogan, le speranze e sì, anche la rassegnazione

Luciana Grosso

Mai visto tanti sconfitti tutti insieme. Mai visto tanta cocciuta rassegnazione. E amen se è un ossimoro.

I remainers di Londra e dintorni, oggi, hanno sfilato per il cuore della città per chiedere che si possa votare di nuovo. Tanti, colorati, festosi. Un serpentone azzurro come la bandiera dell’Ue che si è snodato per le strade e i parchi del centro di Londra, Buckingham Palace incluso, per chiedere un secondo voto su Brexit. Dicono di volere un meaningful vote che certifichi definitivamente che la Brexit che succederà dal prossimo maggio (e che ancora non si sa che forma avrà) sia proprio quella che volevano e chiedevano gli inglesi. Ma non è vero. Bugia. Non vogliono una Brexit certificata, informata e consapevole. Non la vogliono proprio, la Brexit, e anzi, chiedono la rivincita di quello sciagurato referendum perso per un soffio nel 2016.

 

Difficile, difficilissimo che riescano a ottenerla, la loro rivincita. Lo sanno anche loro, gli europeisti sconfitti, che però, a scanso di equivoci, la loro rivincita la chiedono lo stesso. Si sono alzati all’alba, hanno preso un treno da chissà dove, hanno aspettato per ore (ore) fermi, in piedi, nella calca, che il corteo partisse, ma niente, non ci credono nemmeno un po’. “Sono ottimista. Credo che il clamore di questa manifestazione, unito alla storia della petizione che ha avuto 4 milioni di firme in 3 giorni, unito al casino che sta succedendo in parlamento abbia leggermente alzato la probabilità che si voti di nuovo”. Ah sì? Alzata di quanto? “Credo che siamo attorno al 10 per cento”. Caspita, quanto ottimismo. Detta così fa ridere, ma è vero che è questo signore ammantato di bandiera dell’Ue è uno dei più ottimisti della compagnia. Gli altri la vedono molto più nera. “Siamo qui per dire che ci abbiamo provato, che abbiamo fatto tutto quello che c’era da fare per fermare questa follia di Brexit: abbiamo votato, protestato, firmato petizioni e chiesto un nuovo voto. Poi pazienza se non sarà servito. Almeno ci avremo provato”, ci racconta una giovanissima madre che spinge un passeggino. “Sono qui per dire che non sono d’accordo più che per chiedere di cambiare le cose”, taglia corto più pragmatico un anziano signore che si farà tutta la march zoppicando sul suo bastone. “Il deputato del mio collegio è un leaver: sono qui per dire che non c’entro niente con lui” continua un altro, sempre con lo stesso tono. “Sono qui perché visto che nessun partito chiede che si voti di nuovo, qualcuno dovrà pur farlo, no?” dice un padre separato, che ha portato con sé i figli adolescenti “La mia ex moglie ha votato Leave, ma questo è il mio weekend e allora i ragazzi vengono con me” dice, soddisfatto più per il fendente alla ex che per la fiumana di persone in piazza.

 

Tutt’intorno un milione (letteralmente) di bandiere europee: gente con il viso pitturato di azzurro, una signora sulla sessantina che sembra Miss Marple si è fatta uno scialle a maglia con la bandiera dell’UE; un’altra indossa un baschetto azzurro ricamato con le stelline; un’altra ancora ha attaccato delle stelline adesive sul cappotto blu di Burberry’s. Grandi assenti sono le bandiere di partito, il che è ovvio, visto che nessuno dei due principali partiti inglese, Tory e Labour, è riuscito ad avere una posizione che fosse una in merito. Non i Tories, che sono spaccati e tanto meno i labouristi, che se prendessero posizione dovrebbero rinunciare alla golosa fetta di elettorato che andrebbero a scontentare.

 

Così, abbandonati dai partiti storici e ancora diffidenti verso i novellini di Lib Dem e verso gli ‘Indipendenti’ come si chiamano per ora gli scissionisti dal Labour di Corbyn, i Remainers ne hanno per tutti. Per Theresa May, tantissimo, che cartelli e pupazzi di cartapesta dipingono come un arcigna e un po’ imbranata strega, cattiva e egoista, disposta a fare il male del suo popolo pur di conservare un angolino di potere. Ne hanno altrettante per Jeremy Corbyn, dipinto come inconcludente e accidioso: “Posso capire che i Tory vogliano Brexit; posso capire che Ukip voglia Brexit; ma non mando giù che il mio partito, quello che ho sempre votato, non prenda posizione contro Brexit, non lo mando giù”,  dice un’ attempata signora fresca di ‘68 a cui, si vede, salta la mosca al naso quando nominiamo il leader Labourista.  Più moderato invece un altro suo coetaneo, he sfila un paio di file più indietro: “Sono sempre stato un Tory. Ma se Corbyn mi a avere il secondo voto, giuro, alle prossime elezioni lo voto”.

Però Corbyn traccheggia e cambia idea e a 6 giorni (+14, visto che si va al 12 aprile) nessuno sa se se i voterà di nuovo.

Probabilmente no, e questo corteo, bello e colorato finché si vuole, detto in tutta sincerità, appare più un saluto, che una protesta.  L’impressione che si ha è che gli europeisti d’Inghilterra abbiano sfilato per le strade di Londra per salutare, per l’ultima volta, la loro amica Europa. So long, Uk.  

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