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Non c'è da incolpare Israele. La rivolta a Gaza contro Hamas non fa notizia

Giulio Meotti

I palestinesi protestano contro il gruppo terroristico islamico chiedendo “lavoro, uguaglianza, dignità e libertà”. Manifestanti arrestati, percossi e media locali repressi

Roma. Ieri dalle parti di Israele è arrivata una notizia finita sui principali giornali europei: l’uccisione del terrorista palestinese che ad Ariel due giorni prima aveva assassinato un soldato e un rabbino israeliani. Fiocca sempre un titolo, quando c’è da far fare a Israele la figura dell’“oppressore” e dell’“occupante”. I titoli non arrivano invece per quello che sta succedendo dentro Gaza da un paio di settimane. Hamas sta reprimendo le più grandi manifestazioni nei suoi dodici anni di dittatura, con migliaia di palestinesi che scendono in piazza per protestare contro le condizioni di vita.

   

Hamas ha arrestato dozzine di manifestanti, ha picchiato gli attivisti e represso violentemente i media locali che coprivano i disordini. “Queste proteste sono le più grandi, le più lunghe e le più violente in termini di repressione di Hamas”, ha detto Mkhaimar Abusada, professore di scienze politiche all’Università al Azhar di Gaza. Gli islamisti, al potere a Gaza dal 2007 dopo un colpo di stato contro l’Anp, hanno arrestato mille persone. Hamas ha poi rilasciato una dichiarazione “rifiutando l’uso della violenza e della repressione contro qualsiasi palestinese per aver esercitato il suo legittimo diritto di espressione”. Le marce al confine con Israele erano così “spontanee”, come le hanno definite i media di tutto il mondo, che negli ultimi venerdì non si sono svolte. Perché Hamas era impegnato a reprimere la sua stessa popolazione che aveva convocato per quasi un anno al confine con Israele. L’inviato delle Nazioni Unite, Nickolay Mladenov, ha condannato la “campagna di arresti e violenze” da parte delle forze di sicurezza di Hamas. A causa delle carenze finanziarie, Hamas ha aumentato le tasse sulle sigarette e su altri beni importati. I pomodori hanno triplicato il prezzo, mentre molti altri beni di base come il pane sono aumentati. Osama Kahlout, un giornalista con sede a Deir Balah a Gaza, stava trasmettendo le proteste su Facebook quando agenti di Hamas hanno fatto irruzione e lo hanno picchiato. Al grido di “vogliamo vivere”, i palestinesi hanno protestato contro il gruppo terroristico islamico chiedendo “lavoro, uguaglianza, dignità e libertà”. Hamas ha risposto attaccando uomini, donne e bambini. Simbolo della protesta è una donna, ripresa in un video diventato virale: “I figli dei leader di Hamas hanno case e jeep e macchine, possono sposarsi, mentre la gente comune non ha niente, neanche un pezzo di pane”.

   

Di Khaled Meshaal, capo di Hamas per vent’anni, si stima una ricchezza personale di 2,6 miliardi di dollari depositati in conti del Golfo Persico. Ci sono seicento milionari a Gaza. Uno è il capo di Hamas, Ismail Haniyeh, che ha comprato una villa a Rimal, quartiere ricco di Gaza City. Anche il suo vice, Mousa Abu Marzouk, ha una fortuna personale. Hamas ha speso 120 milioni di dollari in armi e tunnel dal 2014. Avrebbe potuto costruirci 1.500 case, 24 mila letti di ospedale, sei cliniche mediche e tre impianti per l’acqua. L’unica elettricità che i palestinesi hanno a Gaza gliela passa Israele e l’Anp si rifiuta di pagare le bollette. Anziché i tunnel, i palestinesi avrebbero potuto scavare pozzi per cercare l’acqua. E anziché usare l’elettricità per fabbricare i missili da lanciare su Israele, avrebbero potuto usarla per costruirci un impianto di desalinizzazione. Col Piano Marshall, l’America distribuì sessanta miliardi di dollari (rapportati al cambio attuale) all’Europa ricostruendola dopo la Seconda guerra mondiale. Secondo la Banca Mondiale, dal 1994 a oggi i palestinesi hanno ricevuto 31 miliardi di dollari in aiuti. Soldi finiti in terrorismo. E ora a Gaza, come in Iran, la popolazione chiede conto ai regimi. Quando vedremo articoli di giornale, proteste di piazza e flotille contro “l’occupazione di Hamas”? Sarà un giorno epocale.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.