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Tajani a Washington per deviare la guerra commerciale contro i cinesi

Daniele Raineri

Trump è convinto che il sistema degli scambi e delle esportazioni internazionali sia sbilanciato a sfavore dell’America e vuole imporre alcune correzioni a colpi di dazi e tariffe

New York. Ieri il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, è arrivato a Washington per parlare dei negoziati commerciali in corso con l’Amministrazione Trump, che l’anno scorso ha aperto una guerra di mercato su due fronti: Unione europea e Cina.

 

Il presidente americano, Donald Trump, è convinto che il sistema degli scambi e delle esportazioni internazionali sia sbilanciato a sfavore dell’America e vuole imporre alcune correzioni a colpi di dazi e tariffe, che però secondo gli esperti farebbero aumentare il prezzo dei beni di consumo anche per gli americani. Per ora la situazione su entrambi i fronti è di tregua. A luglio 2018 Trump è arrivato a un’intesa temporanea con il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, è “un osso duro” disse poi, e nel frattempo ha stretto un altro accordo temporaneo con il presidente cinese Xi Jinping. Ma entrambi gli accordi sono in scadenza e in questi giorni il presidente americano sta valutando il comportamento dei cinesi per decidere se accettare oppure no un patto commerciale con loro più solido e a lungo termine. A marzo ospiterà il presidente cinese in Florida e potrebbe “firmare un accordo”, ha annunciato. In questo duello a tre, Trump contro Bruxelles e Pechino, arriva Tajani con un messaggio chiaro: cara America, la minaccia commerciale sono i cinesi non l’Europa e dovremmo fare fronte comune per affrontarli assieme. Questa è la dichiarazione molto esplicita alla vigilia della partenza: “Uno scontro sul commercio tra Usa e Ue danneggia entrambe le sponde dell’Atlantico. Il vero problema oggi è la Cina, che è lungi dall’essere una economia di mercato e si pone spesso fuori dalle regole. Lasciamoci alle spalle controversie su dazi e tariffe. E’ tempo che Usa e Europa facciano fronte comune contro le pratiche sleali”.

 

Tra gli incontri previsti ci sono quello con la leader dei democratici al Congresso, Nancy Pelosi, e quello con il segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ma senz’altro uno dei più interessanti è oggi a Washington con Wilbur Ross, il segretario al Commercio di Trump (che intanto è in Vietnam a negoziare con la Corea del nord). Dieci giorni fa Ross ha consegnato al presidente americano un rapporto che risponde alla domanda: le importazioni di auto straniere in America sono una minaccia per la sicurezza nazionale? Il contenuto del rapporto non è stato reso pubblico, ora Trump ha novanta giorni di tempo per prendere una decisione e ha già dichiarato che potrebbe imporre un dazio fino al 25 per cento del valore sulle macchine importate – così alta che distruggerebbe il mercato. L’associazione americana dei venditori di auto ha calcolato che i dazi farebbero aumentare di più di duemila dollari il prezzo delle auto nazionali (che in molti casi sono fatte con pezzi che arrivano dall’estero) e di quasi settemila dollari quello delle auto straniere. L’Unione europea per ora mantiene la sua posizione: non imporremo alcun dazio se l’America farà altrettanto. Ma c’è un pacchetto di risposta già pronto che andrebbe a colpire circa venti miliardi di dollari di importazioni americane. Punto da notare: i paesi europei non avrebbero questa forza negoziale se provassero a trattare come singoli, è uno di quei casi in cui la somma dei governi offre più protezione e garanzie rispetto al localismo – che nelle guerre a colpi di tariffe è debolissimo.

 

Nel messaggio che precede l’arrivo in America, Tajani cita una questione comune molto sentita dall’Amministrazione Trump: “Proprio in questi giorni, stiamo combattendo, insieme, una battaglia storica per riportare la democrazia e la salvaguardia dei diritti umani in Venezuela, dove un dittatore spietato calpesta i diritti del popolo, riducendolo allo stremo”. Come a dire: ci volete trattare da rischio per la sicurezza nazionale, ma quando serve legittimità internazionale per una campagna giusta come quella per i venezuelani dove andate a bussare: dai cinesi?

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)