Il presidente del Consiglio europeo Tusk in visita a Kiev (foto LaPresse)

Morire per l'Ue e ritrovarsi con Mosca. I cinque anni della rivoluzione ucraina

Micol Flammini

Per l'anniversario di Euromaidan, Tusk è andato a Kiev per ricordare (anche a noi) il senso dell’Unione

Roma. Sono passati cinque anni dalla rivoluzione di Euromaidan, durante i quali sarebbe dovuto cambiare tutto, durante i quali le promesse si sono accumulate, sono state disattese e a fine marzo in Ucraina si voterà il nuovo presidente proprio sulla base di quelle illusioni. Si farà un bilancio. Gli elettori guarderanno a est e vedranno sempre la stessa immagine, quella di una Russia minacciosa, pronta a tutto pur di non lasciarli in pace, e poi si volteranno a ovest, e quanto è cambiato di là l’occidente in soli cinque anni. Di là c’è l’Europa infragilita, divisa e turbata. E non ha torto chi dice che, forse, parte di questo smarrimento sia dovuto anche alla crisi ucraina, agli accordi di Minsk rimasti appesi a una serie infinita di rinvii, e all’incapacità europea di trovare una soluzione. Martedì a Kiev Petro Poroshenko, che avrebbe dovuto essere il simbolo di questo cambiamento e non lo è stato, ha firmato una legge che introduce nella Costituzione gli obiettivi necessari per entrare nella Nato e nell’Unione europea, “Slava Ukrainy”, “Gloria all’Ucraina” ha gridato il presidente con il librone della Costituzione in mano dentro alla Rada, il Parlamento di Kiev, davanti a Donald Tusk. Il presidente del Consiglio europeo era in Ucraina per le commemorazioni, era arrivato già lunedì, ha visitato i luoghi simbolo della rivoluzione, ha portato i fiori davanti alle foto delle vittime, quasi tutte giovani, giovanissime. “Gli ucraini sono un esempio per tutti noi – ha scritto su Twitter – Eroi, quando serve. Pragmatici, quando serve”. Tusk è tra gli europei che più hanno creduto in quella rivolta e in Parlamento ha detto: “Non può esistere un’Europa giusta senza un’Ucraina indipendente. Non può esistere un’Europa sicura senza un’Ucraina sicura. Per dirla in modo semplice: non può esserci l’Europa senza l’Ucraina”. Nel discorso, tenuto in ucraino, Tusk dice di parlare non soltanto da presidente del Consiglio, ma anche da polacco, da vicino, come uno che la paura di una Russia che spinge al confine, la conosce bene e la teme ancora.

 

  

L’Ucraina il 31 marzo andrà a votare, i sondaggi non sanno cosa prevedere, Poroshenko, che le sta provando tutte, dallo scisma della chiesa ucraina alla legge marziale, si ricandiderà. Fare campagna contro i suoi insuccessi non sarà difficile, infatti Yulia Tymoshenko è già la favorita, poi c’è un comico, Volodymyr Zelensky, che fa i suoi spettacoli in russo, piace ai russofoni e non dispiace a tanti giovani ucraini. Sarà una campagna elettorale dura, fatta di toni populistici e a cinque anni da quella rivoluzione, la politica sembra aver perso per strada quelli che erano i desideri dei manifestanti. Tusk, avvertendo l’atmosfera di un Parlamento disunito, ha detto: “Le basi di un’Europa unita sono la riconciliazione e non la vendetta, la solidarietà e non l’interesse personale, la verità storica e non la propaganda. Il populismo radicale nasce da insicurezze e debolezze. L’Ucraina è troppo orgogliosa, forte e grande per aver bisogno di una gloria simile”. Un avvertimento per Kiev, ma anche per Roma, Parigi, Berlino e l’Ue.

 

Lunedì da Bruxelles è arrivato l’annuncio delle nuove sanzioni da parte dell’Unione europea contro Mosca per l’attacco alle navi ucraine a fine novembre nel mare di Azov, c’è consenso da parte di tutti i paesi, Italia inclusa, e saranno provvedimenti molto duri e personali. Tuttavia, dopo cinque anni dalla rivoluzione, dai morti di piazza Indipendenza, dall’annessione della Crimea da parte della Russia – la storia sa essere spiritosa, martedì era un’altra ricorrenza: i sessantacinque anni dalla cessione da parte di Kruscev della Crimea all’Ucraina – la situazione resta immobile, non ci sono compromessi, non ci sono uscite, le tensioni vengono lasciate lì a consumarsi, a est i soldati ucraini combattono contro i filorussi, nulla si sblocca, i morti aumentano. Lì a due passi da noi, c’è una guerra, ci sono le speranze e i desideri di una nazione, le paure. E c’è anche quella generazione scesa in piazza cinque anni fa – perché credeva nell’Ue, perché come ha detto Katia Sadilova, giornalista di Kiev: “Noi ucraini siamo l’unico popolo che muore con la bandiera europea in una mano e quella ucraina nell’altra” – che non può essere delusa ancora.

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