La manifestazione contro Maduro di sabato a Caracas (foto LaPresse)

No: non può esistere terzismo sul Venezuela

Angela Nocioni

Gli analisti più lucidi della tragedia del paese sono gli ex chavisti della prima ora, i movimentisti da tempo delusi e oggi furibondi. Non sono tutti emigrati né tutti in galera. Gli equidistanti di casa nostra potrebbero andare a sentirli a Caracas

Siamo sicuri che, quando non si sa da quale parte stare, si possa sempre invocare una terza via? A dire “né con Maduro, né con Guaidó, noi stiamo con il popolo venezuelano” sono molti, anche assortiti, non solo grillini. Fosse possibile metterli nella pelle di un ragazzino caraqueño medio – di quelli senza parenti a Miami, senza amici in Europa, senza un dollaro in tasca – dopo due giorni li ritroveremmo tutti a implorare lo sbarco della Delta Force.

 

Ma crediamo alla buona fede. Crediamo che dicano di cercare una terza via non perché non gli dispiace in fondo il regime chavista e ammetterlo sarebbe sconveniente, né perché temono di infilarsi altrimenti in un ginepraio di una crisi dagli esiti imprevedibili e preferiscono quindi prendere posizione solo dopo, a giochi conclusi. Crediamo che sia sincero l’appello al principio di non ingerenza.

 

Purtroppo, per l’accelerazione politica presa negli ultimi giorni dall’avvitarsi della crisi a Caracas, lo spazio per l’equidistanza e soprattutto il tempo per cercare una terza via non ci sono. Ci sono stati, in passato ci sono stati e nessuno l’ha saputi usare, ma da una settimana almeno non ci sono più. Non ci sono più perché nel litigio tra le varie anime dell’opposizione venezuelana che dura da vent’anni, una parte, quella che ha costruito il personaggio di Juan Guaidó e l’ha portato in strada il 23 gennaio a giurare fedeltà alla Costituzione con la mano su cuore, ha vinto sulle altre, contrarie alla autoproclamazione del presidente del parlamento esautorato dal regime come presidente ad interim.

 

  

Con quella mossa a sorpresa questo gruppo dell’opposizione, che fa capo a Leopoldo López, capo dell’anti chavismo radicale al momento ai domiciliari, ha spiazzato la concorrenza per la leadership e s’è portata dietro chi oggi in Venezuela è disposto a scendere in strada a manifestare contro il regime.

 

Questa fazione dell’opposizione, che è quella più a destra, s’è data da fare negli ultimi mesi. Ha saputo approfittare del cambiamento di clima politico in America latina e dell’esistenza dell’amministrazione Trump. Ha messo a frutto i rapporti che ha sempre avuto con i repubblicani della Florida e con il mondo politico che ruota attorno all’ex presidente colombiano Uribe. E ha vinto. La transizione fino alle elezioni presidenziali sarà a guida sua. Non c’è molto da girarci intorno.

 

Restare in disparte ad aspettare che regime e opposizione trovino un accordo che il regime non ha finora voluto e che l’opposizione comunque ormai non cerca più, è una posizione pilatesca il cui prezzo sarà pagato dai poveri cristi

Rifiutarsi di fare i conti con questo dato di realtà per timore di fare il gioco di Donald Trump, a questo punto, significa rischiare che Maduro prima o poi cada, sì, ma non del tutto. Che Caracas diventi il teatro di una guerra. Per di più con il regime al crepuscolo, ma non ancora morto. E quindi in grado d’essere pericolosissimo, se decidesse per idiozia e per disperazione di “morire dando battaglia”.

 

O che ci sia un’esplosione sociale, per fame, per rabbia accumulata, che il paese affondi in un conflitto armato di tutti contro tutti in cui sarà quel “popolo venezuelano” del quale i terzisti dicono di preoccuparsi a finire ammazzato per strada.

 

Restare in disparte ad aspettare che regime e opposizione trovino – da soli o aiutati una mediazione internazionale (con i tempi lunghi delle mediazioni internazionali) – un accordo che il regime non ha finora voluto e che l’opposizione comunque ormai non cerca più, è una posizione pilatesca rischiosissima, il cui prezzo sarà pagato dai poveri cristi. Che sono la stragrande maggioranza di chi è rimasto in Venezuela, perché chi aveva due lire se n’è già andato. Gli abitanti delle baraccopoli che dominano Caracas dalle pendici delle montagne tutti’intorno, protagonisti insieme ai bassi gradi dell’esercito di tutte le insurrezioni di cui è fitta la storia del Venezuela, sono in gran parte diffidenti di quest’opposizione perché ne temono le radici politiche, sospettano sia nelle mani di quelli che gli hanno sempre fatto sparare addosso. Dicono: “Siamo stretti tra un regime criminale e un’opposizione che è e resta figlia dell’oligarchia con un piede a Miami”. Ma, con il contagocce o all’improvviso, prima o poi scenderanno in piazza anche loro. Non foss’altro che perché hanno fame.

 

 

Contro Maduro potrebbe imporsi l’idea di un blitz, col rischio che fallisca, o di un lento strangolamento, lento ma maldestro. E non ci si può permettere d’essere maldestri nella crisi venezuelana perché la reazione del regime sarebbe scomposta. Maduro è consapevole d’essere in una via senza uscita, sa che ha pochissimo margine per trattare. Non avrebbe proposto altrimenti la convocazione di elezioni legislative, sperando così di prender tempo e evitare quelle generali.

 

Prima o poi qualcuno negli alti comandi militari che lo tengono in piedi e di cui è solo il capo formale – più ostaggio che comandante – andrà a spiegargli, se non l’ha già fatto, che la situazione è insostenibile, che per evitare una guerra è necessario che si faccia da parte. Gli proporrà l’esilio, forse all’Avana. Spiegherà che, in caso contrario, sarà impossibile garantirgli la sicurezza. Ma nel frattempo la repressione, già in corso, sarà feroce. Le torture non sono un’invenzione della propaganda anti regime. Le retate della polizia speciale in quei quartieri popolari dove ci sono state sommosse, la gente che sparisce, i piani anti insurrezione affidati all’intelligence cubana (l’unica cosa che funziona ancora in Venezuela) sono davvero in corso.

 

C’è stata finora una guerra intestina tra fazioni delle forze armate a Caracas. E’ una guerra sotterranea in cui nessuno dei due principali gruppi di potere, il numero due del governo Diosdado Cabello e il ministro della Difesa Padrino López, ha preso il sopravvento sull’altro. Nell’equilibrio – di cui la figura di cartapesta di Maduro conta solo perché è la garanzia alla tutela degli interessi cubani pretesa e ottenuta dai Castro alla vigilia della morte di Hugo Chávez – i generali fanno affari. E’ solo in quanto garante dell’equilibrio tra bande che Nicolás Maduro è potuto sopravvivere finora sull’orlo della voragine economica e sociale del chavismo allo sbando.

 

Le torture non sono un’invenzione della propaganda anti regime. Le retate della polizia speciale in quei quartieri popolari dove ci sono state sommosse, i piani anti insurrezione affidati all’intelligence cubana sono davvero in corso

Il Venezuela è completamente in mano ai militari. Loro controllano quel che rimane dell’apparato produttivo, a cominciare dall’industria pubblica del petrolio, Pdvsa. Loro si occupano della distribuzione di quel che resta dei prodotti di consumo. Sono quasi tutti occupati da militari i posti di comando politico, compresi i vertici dei governi degli stati più importanti.

 

La casta militare ha vuotato le casse statali, ipotecato le future estrazioni di petrolio per garantirsi iniezioni di denaro fresco dalla Cina, senza esser capace di lasciare nemmeno gli spiccioli necessari a garantire il rifornimento di garze e siringhe agli ospedali.

 

Tutto ciò che genera entrate in dollari in Venezuela è in mano a generali. Una delle maggiori fonti di profitti illeciti sta nel sovrapprezzo che molti di loro incassano gestendo in totale opacità gli approvvigionamenti statali. Fanno pagare il doppio o il triplo del reale prezzo e si intascano la differenza. Lì sta la principale fonte di guadagno della “boliborghesia”, la borghesia bolivariana, composta anche da civili, la classe sociale cresciuta all’ombra della rivoluzione che ora si sta scolando gli ultimi soldi di stato. L’impresa pubblica del petrolio, Pdvsa, ha una piccola rosa di imprese che si occupa del rifornimento di materiali e macchinari. Sono private e comprano all’estero, in dollari. Chi gestisce gli acquisti, e si tratta sempre di militari, gonfia i prezzi a piacimento.

 

Altra gigantesca fonte di entrate per i generali è stata la compravendita controllata di dollari. I militari hanno controllato per anni le subaste di dollari. Ormai le imprese private sono quasi tutte fallite o sono state comunque costrette a chiudere, ma per anni, quando le aziende private avevano bisogno di dollari, essendo sempre stato rigidamente controllato il mercato di valuta, facevano un’offerta e un fantomatico ente governativo, sempre in mano ai militari, decideva a chi vendere e a chi no attraverso una subasta pubblica e contemporaneamente segreta. Un sistema di regolazione del valore nel mercato parallelo che per molti anni è stato una fabbrica di soldi per i generali che ne erano a capo, un formidabile sistema di riciclaggio, di corruzione e di pressione sulle imprese private.

 

Tutto ciò è avvenuto mentre l’economia stava sprofondando. Non è possibile vivere in moneta nazionale. I beni anche di prima necessità si possono comprare solo al mercato nero, dove la divisa di riferimento sono sempre e solo i dollari. Il capitale privato è fuggito da tempo oltre confine. Sono svanite le riserve di valuta, ma non è vero che sono finite perché è crollato il prezzo del petrolio. Il Venezuela ha finito le sue riserve prima, molto prima, che crollasse il prezzo del petrolio. Perché i soldi sono stati rubati tutti e portati all’estero.

 

Della tragedia venezuelana gli analisti più lucidi, i critici più severi non sono Guaidó, Leopoldo López (non arreso a lasciare del tutto la scena al suo delfino e a rinunciare alla candidatura alle presidenziali) né l’opposizione moderata, ma alcuni ex chavisti di base della prima ora, i movimentisti illusi e delusi, quelli che organizzavano i minatori in sciopero, gli indigeni in rivolta, i comitati dei senza tetto e dei senza terra. E che hanno abbandonato la militanza molti anni fa, quando hanno capito la piega presa da Chávez prima e da Maduro poi e hanno visto quello che per loro era il fenomeno politico del chavismo anchilosarsi dentro la struttura burocratica e autoritaria fornita dai cubani. E siccome in Venezuela è nazionalista anche il movimentismo di sinistra, sono furibondi anche per questa ragione. Non sono emigrati tutti, né sono finiti tutti in galera. Il regime non è idiota, non incarcera tutti.

 

I terzisti di casa nostra, invece di disquisire di equidistanza da qua, invece di nascondersi dietro i tentativi diplomatici del Messico e dell’Uruguay, possono andare a Caracas a cercarli. E provare a vedere l’effetto che fa spiegare in Venezuela che l’Italia sta stravaccata in poltrona perché sta studiando una terza via.

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