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Il tempo gioca a favore del regime del Venezuela, occhio alle milizie civili

Angela Nocioni

Maduro è un capo di cartone e il suo ruolo formale serve al mantenimento in vita dei traffici dei vari uomini forti del regime che lo tengono in piedi

Roma. Il tempo che passa gioca a favore del regime in Venezuela. Più tempo passa dall’autoproclamazione di Juan Guaidó alla guida della transizione senza che qualche generale in servizio lo appoggi – Guaidó è il presidente del Parlamento esautorato dal regime, assemblea eletta democraticamente a differenza della Costituente di Nicolás Maduro, ma è un presidente senza forze armate in un paese che è un arsenale a cielo aperto, in cui la polarizzazione è fortissima e l’esplosione di una guerra di tutti contro tutti sempre dietro l’angolo – più tempo ha la cerchia di generali al potere di tutelarsi da colpi di mano interni. Più tempo c’è per articolare la repressione.

 

Essere maldestri, in un blitz o in un’operazione di lunga durata contro Maduro, è pericoloso perché il rischio di un massacro di civili è molto alto. Il regime non dispone solo delle sue tante polizie e delle forze armate. Ha finora avuto il controllo anche di varie milizie composte da civili, più interessate dell’esercito a difenderlo. “Colectivos chavistas”, si chiamano. E non sono tutti uguali. Li differenzia innanzitutto la loro origine, il loro rapporto con le forze armate, con la polizia politica (Sebin) e con le forze speciali (Faes).

 

Quelli direttamente dipendenti dal regime sono meglio armati degli altri. Il loro arsenale viene dal contrabbando di armi gestito da militari. Hanno lo stesso equipaggiamento dell’esercito irregolare del narcotraffico – alcuni di loro fanno parte dell’esercito del narcotraffico. Non hanno di solito strutture ideologiche, nemmeno fittizie. Alcuni hanno lavorato in passato anche per l’antichavismo più radicale – anch’esso dotato di bande armate, per ora silenti – e hanno finito per trovare conveniente essere risucchiati nell’apparato del regime. I loro capi sono militari con incarichi di governo. Ma dipendendo da singole fazioni interne al palazzo di Miraflores, non stanno tutti dalla stessa parte. Quindi non necessariamente, non sempre e non a qualsiasi condizione difendono Maduro, che è a sua volta dipendente dall’equilibrio di potere tra bande interne al potere chavista, a volte ostaggio dell’una, a volte dell’altra.

 

Nicolás Maduro non è un Re Sole con un apparato interamente al suo servizio. E’ un capo di cartone, il suo ruolo formale serve al mantenimento in vita dei traffici dei vari uomini forti del regime che lo tengono in piedi fin quando funziona come garanzia della sopravvivenza dei margini di profitto di ciascuno. Se si incrina l’equilibrio, addio Maduro. Anche perché l’erede di Chávez, a differenza del suo numero due Diosdado Cabello, del ministro della Difesa Padrino Lopez e di molti altri, non ha una relazione diretta con l’esercito e con le milizie. E’ un ex sindacalista della Metro di Caracas, l’Olimpo delle forze armate lo disprezza da sempre, i suoi rapporti con i militari e con le milizie sono mediate da altri. Dettaglio che nel momento delle prove di forza in Venezuela conta tantissimo.

 

Ci sono poi i “colectivos” che nascono molto prima dell’avvento di Hugo Chávez al potere – i Tupamaros, la Pedrita sono i principali a Caracas – con origine nei gruppi guerriglieri venezuelani degli anni Sessanta. Questi hanno una relazione complessa con il regime. Sono fortemente ideologizzati. Si sentono i chavisti originari, rivendicano un’autonomia dalle gerarchie di governo. Chávez li usava per mantenere l’ordine pubblico nei quartieri popolari e nelle baraccopoli. Maduro li ha continuati a usare consentendo loro di gestire in parte la distribuzione delle ceste basiche di cibo (e il relativo mercato di contrabbando) insieme ai militari. Ma da anni ormai non ci sono più soldi per foraggiare tutti. Il loro appoggio varia al variare delle condizioni che li tengono legati alle fonti di profitto. Possono anche non fidarsi di Maduro, ma fanno comunque parte dell’apparato repressivo del chavismo e nei momenti ad alto conflitto degli ultimi vent’anni hanno finito sempre per schierarsi a difesa di Miraflores.

 

La parte più feroce della repressione è di solito affidata a dei finti “colectivos”, gruppi nati molto dopo l’esordio del chavismo, spuntati insieme alle operazioni delle forze speciali nei “barrios” che il regime ha chiamato Olp, Operazioni per la liberazione del popolo: non sono altro che incursioni di forze speciali nelle baraccopoli, non diverse da quelli che fanno i battaglioni d’élite nelle favelas brasiliane. Le Olp si appoggiano a questo genere di “colectivos”, indistinguibili dagli altri perché sempre di civili armati in motocicletta si tratta. In caso di guerra civile saranno loro i signori di Caracas.

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