Le manifestazioni dell'estrema destra polacca ad Auschwitz (foto LaPresse)

Italia, Polonia e le alleanze del “cambiamento” che riaccende gli odi

Micol Flammini

Dove possono portarci le alleanze populiste. Chi era il manifestante estremista ai cancelli di Auschwitz

Roma. Lunedì i giornali hanno raccontato che alle commemorazioni del Giorno della memoria, i militanti dell’estrema destra polacca si sono radunati davanti ad Auschwitz, gridando di volere giustizia per “i nostri morti”, con riferimento ai cittadini polacchi uccisi nel campo di sterminio, e di voler “pregare nel nostro modo polacco” sulle tombe delle vittime nazionali ed esigendo di restituire “la Polonia ai polacchi”. A capo delle urla, degli sventolii frenetici degli striscioni, dell’odio, c’era Piotr Rybak, che ha fatto campagna elettorale assieme a Kukiz’15, il partito fondato dall’ex cantante punk Pawel Kukiz. Piotr Rybak ha avuto una certa notorietà nel 2015, quando bruciò un fantoccio raffigurante un ebreo. In tribunale spiegò che non si trattava di un ebreo a caso, ma di un ebreo in particolare: George Soros, il filantropo miliardario di origini ungheresi. 

 

In Polonia è arrivato il “buon cambiamento”. Il PiS, il Partito Diritto e giustizia che è al governo dal 2015, lo aveva promesso, era proprio dobra zmiana lo slogan della sua campagna elettorale. Dopo quattro anni Varsavia conosce i risultati del cambiamento promesso: razzismo, antisemitismo, odio. Sono molte le cose che legano Polonia e Italia, anche i gialloverdi si sono presentati come il “governo del cambiamento”, ma contrariamente ai polacchi hanno evitato l’aggettivo “buono”. Tra i due paesi ci sono desideri di alleanze in vista delle elezioni di maggio nell’Unione europea: se i Cinque stelle flirtano con tutti i movimenti antisistema in cui si imbattono, il ministro dell’Interno Matteo Salvini è alla ricerca di un accordo con Jaroslaw Kaczynski, fondatore del PiS: si sono incontrati a Varsavia, e stanno cercando di trovare le basi di un accordo.

 

In Polonia però la tensione culturale, con le ferite del passato, è molto alta. A due settimane dall’omicidio di Pawel Adamowicz, il sindaco di Danzica assassinato sul palco di un evento di beneficenza per le sue idee, le celebrazioni per il settantaquattresimo anniversario della liberazione del campo di sterminio ad Auschwitz sono diventate un’altra espressione dell’odio che ribolle in Polonia. Erano presenti molte autorità, incluso Mateusz Morawiecki, primo ministro polacco, esponente del PiS, che nel suo discorso ha parlato del valore della verità: “La Polonia – ha detto – sorveglia sulla verità, la quale non può essere relativizzata. Voglio farvi questa promessa di una verità completa su ciò che è successo a quei tempi. Dobbiamo guardare la verità dritta negli occhi, una verità completa e totale”. Questa verità sulla quale la nazione, secondo il premier, ha il compito di sorvegliare è la verità del governo sulle colpe dell’Olocausto che l’anno scorso ha portato il Parlamento ad approvare una legge che punisce chi insinua una responsabilità o una complicità dei polacchi nello sterminio del popolo ebraico. La legge, che vieta anche l’uso di frasi quali “campi di concentramento polacchi”, è stata interpretata come un segnale del ritorno dell’antisemitismo che non ha mai smesso di tormentare la Polonia ma che è aumentato da quando il PiS è arrivato al governo. E siccome questa catena di nazionalismo, odi e paure non accenna a placarsi, il “buon cambiamento” promesso dal PiS è arrivato e ha liberato tutti gli istinti che in trent’anni la giovanissima democrazia polacca aveva cercato di placare. Il partito di Mateusz Morawiecki però ha liberato anche le destre ancora più a destra, i nazionalisti ancora, se si può, più radicali come Piotr Rybak e coloro che domenica davanti ai cancelli di Auschwitz protestavano contro il governo accusandolo di voler commemorare soltanto gli ebrei e non i cittadini polacchi.

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