Le proteste in Venezuela (LaPresse)

Chi ha paura della libertà in Venezuela

Eugenio Cau

L’Ue non riesce a trovare una voce risoluta contro il regime, e tra i paesi latini la rivolta di Guaidó genera imbarazzi

Milano. L’autoproclamazione di Juan Guaidó a presidente del Venezuela ha generato entusiasmi (vedi Donald Trump e Jair Bolsonaro), contrarietà (Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan, che tramite un portavoce dà a Maduro di “fratello”), ed enormi imbarazzi. La più imbarazzata di tutti, come stupirsi, è l’Unione europea, che ha chiesto elezioni anticipate e ha dato il suo sostegno all’Assemblea nazionale venezuelana, l’organo eletto capeggiato da Guaidó, ma si è fermata a un passo dal riconoscere il giovane politico come nuovo presidente. Nemmeno contro un regime feroce che nelle proteste di questi giorni ha fatto 16 morti l’Ue è riuscita a trovare una voce risoluta. 

  

E’ stato l’Alto rappresentante per gli affari esteri Federica Mogherini a chiedere elezioni, mentre su Twitter i leader europei si esprimevano con più decisione, da Donald Tusk che chiedeva di “unirsi in sostegno delle forze democratiche” a Emmanuel Macron, che invocava la “restaurazione della democrazia”. L’Europa ha riconosciuto che le elezioni venezuelane dell’anno scorso furono colpite da gravi irregolarità, ma non ha mai considerate il governo illegittimo. Gli ambasciatori del Vecchio continente hanno disertato la cerimonia di insediamento di Maduro a inizio anno, ma si sono comunque trovati con il dittatore pochi giorni dopo, in un clima piuttosto sereno.

  

  

Assieme all’imbarazzo comprensibile dell’Italia, c’è quello di un altro leader europeo che in Venezuela gode di importanza notevole: lo spagnolo Pedro Sánchez, che ieri twittava di tecnologia e ha evitato di sostenere in modo esplicito il giovane Guaidó. Il presidente del governo spagnolo è a capo di un esecutivo di minoranza che dipende da Podemos, la formazione di estrema sinistra che fino a poco tempo fa considerava il chavismo come l’apoteosi di tutte le forme politiche, e che con il governo di Caracas ha avuto rapporti più che equivoci. Nel suo stesso partito militano personaggi come José Zapatero, così vicino al chavismo che un alto esponente di Human Rights Watch l’ha definito qualche mese fa un “eccellente complice della dittatura di Maduro”.

  

Ieri Sánchez ha detto che Guaidó è “coraggioso” e lo ha chiamato al telefono, ma non ha riconosciuto esplicitamente il suo governo, nascondendosi, fortuna sua, dietro alla posizione tentennante dell’Ue. Il suo ministro degli Esteri ha invocato una mediazione, mentre da destra tanto Ciudadanos quanto il Partito popolare chiedevano al premier di prendere posizione contro la dittatura. La Spagna ha un’influenza importante in Venezuela: ieri i giornali venezuelani registravano la reazione tiepida di Sánchez subito vicino a quella decisa di Trump. Il presidente del governo di Madrid ha un’altra ragione per esitare: in Venezuela ci sono 170 mila cittadini spagnoli, e l’esecutivo non sa come tutelarli.

  

C’è invece un alleato storico degli Stati Uniti che ha deciso di esporsi per Maduro: è il Messico, che ha spesso favorito le avventure di Washington ma che da gennaio è governato da Andrés Manuel López Obrador, un populista di sinistra della vecchia guardia: questo primo test internazionale dovrebbe preoccupare Washington. Non c’è tanto da stupirsi, invece, se Cuba e la Bolivia sono in imbarazzo: Miguel Díaz-Canel ed Evo Morales sono i più stretti alleati di Maduro nella regione, e ora temono che saranno loro i prossimi.

  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.