Il segretario di stato americano, Mike Pompeo (foto LaPresse)

Pompeo al Cairo parla contro Obama, ma non spiega cosa farà lui

Daniele Raineri

“Quando l’America va via arriva il caos”, dice il segretario di stato di Trump (che vuole lasciare la Siria)

New York. Giovedì il segretario di stato americano, Mike Pompeo, ha tenuto un discorso all’American University del Cairo che nelle sue intenzioni doveva rappresentare il rigetto completo da parte dell’Amministrazione Trump di un altro discorso, quello fatto dall’allora presidente Barack Obama sempre al Cairo nel giugno 2009. Dieci anni fa Obama si era presentato come il presidente che avrebbe rimediato agli errori compiuti durante il doppio mandato del suo predecessore George W. Bush (la guerra in Iraq soprattutto) e aveva voluto fare un’apertura al mondo arabo musulmano e in particolare all’Iran. Il presidente voleva essere ricordato in politica estera per avere messo fine alle missioni militari americane in Iraq e in Afghanistan e per avere raggiunto un accordo di pace con l’Iran, impegnato in un progetto di ricerca atomica che minacciava di far scoppiare un conflitto con gli altri stati del medio oriente – primo fra tutti Israele. Le cose non sono andate come voleva, gli americani sono dovuti tornare in Iraq (giovedì il governo di Baghdad ha chiesto a Pompeo di tenere i soldati americani nel paese perché servono, siamo molto lontani dal “no blood for oil” del 2003), non hanno mai lasciato l’Afghanistan e il deal atomico con l’Iran è stato revocato dal presidente Donald Trump. Pompeo si è presentato come l’emissario del presidente che avrebbe corretto gli errori di Obama. Ha avuto parole molto dure contro il terrorismo che scaturisce dall’islam estremista e ha battuto su questo concetto “che scaturisce dall’islam estremista” – i repubblicani spesso accusano Obama di sorvolare su questo concetto – e ha dichiarato ancora una volta che l’Amministrazione ha come obiettivo rispondere all’aggressione dell’Iran, che vuole diventare potenza egemone nel medio oriente. 

 

Secondo alcuni insider che avevano visto le bozze del suo discorso Pompeo avrebbe accusato l’Iran di essere la causa di tutto il terrorismo (tesi difficile da sostenere, lo Stato islamico sunnita è proprio un’altra cosa rispetto all’Iran sciita, sono nemici mortali) e che l’Iran avrebbe dovuto prendere a modello per quanto riguarda i diritti umani le riforme recenti in Arabia Saudita (che ha appena fatto a pezzi un editorialista dentro un consolato), ma il segretario di stato ha evitato questi passaggi bizzarri nel discorso finale. Eppure ci sono molte contraddizioni. Un paio sono generali, la politica estera americana di solito cerca di non sbandierare le divisioni interne fuori dai confini nazionali, mentre il discorso era proprio puntato contro Obama. Inoltre ormai la credibilità degli emissari di Trump è minata, possono fare discorsi e dichiarazioni ma sul loro capo pende sempre la possibilità che il presidente li smentisca con un tweet. Altre contraddizioni sono molto pratiche. Pompeo ha cominciato il suo discorso con questa frase: “Quando l’America si ritira, arriva il caos. Quando trascuriamo i nostri alleati, monta il risentimento. Quando trattiamo da partner i nostri nemici, quelli avanzano”. Si riferiva a Obama che nel 2011 si ritirò troppo presto dall’Iraq e fece aperture all’Iran. Ma tutti hanno subito pensato al ritiro dei soldati americani dalla Siria ordinato da Trump a dicembre che ha lasciato esposti i gruppi combattenti curdi che hanno fatto il grosso delle operazioni antiterrorismo contro lo Stato islamico. E in molti si chiedono cosa intenda davvero Pompeo quando dice: “L’America userà la diplomazia e lavorerà assieme ai nostri partner per espellere fino all’ultimo dei boots on the ground iraniani dalla Siria”. Cosa significa? Come farà a usare la diplomazia per espellere l’Iran, che ha speso miliardi di dollari e perso centinaia di soldati a fianco del presidente siriano Bashar el Assad, dalla Siria? Quali partner, visto che le alleanze americane sono ormai così fragili? La settimana scorsa durante un Consiglio dei ministri davanti a giornalisti e telecamere Trump ha detto che “l’Iran in Siria può fare quello che vuole, francamente”, e non è suonato come un endorsement deciso a una linea dura contro l’Iran in Siria. Un altro dei fedelissimi del presidente, il consigliere per la Sicurezza nazionale John Bolton, è appena tornato malconcio da una visita in Turchia dove il presidente Recep Tayyip Erdogan ha rifiutato di vederlo perché il giorno prima Bolton aveva detto che fra le condizioni del ritiro americano c’è anche che “la Turchia dovrà proteggere i curdi siriani”.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)