Il primo ministro ungherese Viktor Orbán in Parlamento per l'approvazione della "legge schiavitù" (Foto LaPresse)

La piazza di Budapest contro Orbán è una buona notizia. Ma per metà

Micol Flammini

I cittadini si mobilitano contro la "legge schiavitù", che impone turni più lunghi agli operai. Più tiepida la reazione alla riforma della Giustizia

Roma. Lo spray al peperoncino spruzzato sulla folla. I lacrimogeni, le bandiere ungheresi e qualche sfumatura blu persa nella notte. Le immagini arrivate mercoledì sera dall’Ungheria sembravano un risveglio, il risveglio di una nazione rimasta a guardare il velocissimo logoramento della democrazia. La folla fuori dal Parlamento si rivolgeva a Orbán, il primo ministro ungherese, chiamandolo “dittatore”. Mercoledì sera, il governo guidato dal partito nazionalista Fidesz ha fatto approvare due leggi che hanno attirato in strada moltissimi ungheresi. La prima è sulla Giustizia, una riforma dei tribunali che porta sotto il controllo del governo casi di giustizia amministrativa.

 

La norma, che entrerà in vigore nel gennaio del 2020, prevede la creazioni di tribunali speciali supervisionati dal ministro della Giustizia, che sceglierà anche i nuovi giudici. L’opposizione, quel che ne rimane, fischiava, urlava, batteva i piedi per impedire alla maggioranza – Orbán controlla 117 seggi su 199 –, di approvare la legge. Ma in Parlamento si votava anche per dare maggiori poteri ai datori di lavoro e consentire di imporre più straordinari agli ungheresi. Ugualmente l’opposizione ha gridato, ha insultato la maggioranza, che sicura dei suoi numeri è andata avanti con la votazione per approvare anche questa legge controversa. I partiti che si oppongono a Fidesz hanno capito che era quello il torto da cavalcare, più della riforma dei tribunali. Hanno intuito che se gli ungheresi finora hanno reagito poco e timidamente alle idee di Orbán, l’affronto al diritto del lavoro poteva essere un ottimo argomento con cui smuovere i cittadini e così è stato. Per le strade di Budapest si manifestava anche e soprattutto contro questa legge, molto autoritaria e, come hanno notato alcuni osservatori, poco populista.

 

L’opposizione ha cercato di sfruttare l’evento e ha ceduto alle teorie del complotto, arma incendiaria per provocare la nazione. Ferenc Gyurcsány, leader del partito Dk (Coalizione democratica), ha teorizzato un accordo tra governo e case automobilistiche, dicendo che quando la Bmw si è trasferita da Kosice, Slovacchia, a Debrecen, Ungheria, con la promessa di investire un miliardo di euro nel nuovo stabilimento e di assumere mille persone, probabilmente oltre a prendere in considerazione il fatto che le infrastrutture ungheresi fossero migliori delle slovacche, deve aver ceduto alla promessa di incentivi da parte dell’esecutivo di Orbán. Il politico ha ipotizzato che si tratti proprio degli straordinari, che sono stati oggetto della legge approvata mercoledì, per garantire una produzione ininterrotta. Ma Gyurcsány si spinge oltre e ha detto che questo patto tra Fidesz e Bmw è un modo per mantenere dei buoni rapporti con la Germania, nonostante le cattive parole che la stampa tedesca dedica al primo ministro e alle sue riforme illiberali. Le teorie del politico hanno infiammato ancora di più i manifestanti, qualcuno era lì per protestare contro la riforma della Giustizia e molti contro quella del lavoro.

 

Viktor Orbán quest’anno ha ottenuto il suo terzo mandato consecutivo e lo sta usando per radicalizzare il suo potere all’interno della nazione, sa che non può essere fermato, i suoi uomini sono ovunque, in ogni istituzione o amministrazione, in ogni giornale, teatro, università. L’Unione europea è stata colta si sorpresa e ora che Budapest ormai è oltre il punto di non ritorno si sta preparando alle elezioni europee del prossimo anno con Fidesz all’interno del Partito popolare. Non saranno le proteste a fermare Orbán e forse nemmeno l’Ue, intrappolata ancora nell’inerzia e nello stordimento di un anno in cui ha dovuto affrontare defezioni e perdite. L’Ungheria, che pure aveva dato dei segnali, ha fatto tutto all’improvviso, inarrestabile. Il rischio reale è che Budapest imploda, soffocata da una bolla di populismo di governo e opposizione.