Angela Merkel al summit di Marrakesh. Foto LaPresse

Ecco un'altra occasione persa per l'Italia sull'immigrazione

David Carretta

18 paesi europei su 28 in Marocco per la firma del Global Compact. Roma assente, e anche la riforma di Dublino sfugge di mano

Bruxelles. L’85 per cento dei paesi membri delle Nazioni Unite ha firmato oggi il Global Migration Compact, impegnandosi a gestire insieme un fenomeno mondiale. Angela Merkel ha ricevuto una standing ovation a Marrakech quando ha ricordato che serve anche un quadro di regole perché “le mafie non devono essere quelle che decidono come, quando e chi attraversa i confini”, ma se l’è presa con “le ansie e le paure oltre alle false informazioni diffuse da coloro che si oppongono” al patto dell’Onu sulle migrazioni. In cima alla lista c’è un gruppo di governi dell’Unione europea che per opportunismo politico o elettorale ha strumentalizzato il Compact. La decisione del cancelliere austriaco, Sebastian Kurz, di non firmare nel momento in cui l’Austria ha la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue ha provocato una reazione a catena: meno del 70 per cento dei paesi dell’Ue (18 su 28) alla fine ha sottoscritto il Compact che è nato proprio dalla richiesta europea di internazionalizzare la crisi dei migranti del 2015-2016. Il governo del Belgio è entrato in crisi, costringendo il primo ministro Charles Michel a scaricare il principale partito della sua maggioranza, i nazionalisti fiamminghi della N-VA, per volare in Marocco a promettere che sulle migrazioni il suo paese sarà “dalla parte giusta della storia”. Ma le dieci sedie vuote europee, per un testo onusiano che non ha alcun valore legale, hanno implicazioni pratiche gravi nel momento in cui l’Ue continua a dividersi su come prepararsi alla prossima crisi dei migranti.

   

Il governo italiano, che ha lasciato al Parlamento il compito di decidere sul Global Compact, sta perdendo l’ennesima occasione di fare gli interessi dell’Italia a forza di ricatti e scelte schizofreniche su alleanze e priorità nell’Ue. Francia e Germania, che finora avevano guidato il fronte dei favorevoli alle quote obbligatorie di ripartizione di richiedenti asilo, hanno perso la pazienza con l’Italia e sono pronti a fare concessioni ai paesi di Visegrad pur di passare oltre il dibattito sulla riforma di Dublino. La redistribuzione dei richiedenti asilo tra stati membri dell’Ue dovrebbe essere la “regola”, ma con la possibilità di deroghe limitate con “misure alternative di solidarietà” nei confronti dei paesi in prima linea, dice un documento presentato da Parigi e Berlino. Francia e Germania propongono anche che i paesi di primo ingresso si assumano la responsabilità per i migranti per un periodo di otto anni, durante i quali l’Italia (come la Grecia e la Spagna) sarebbe costretta a riprendersi i richiedenti asilo fuggiti in altri stati membri. 

  

La riforma di Dublino, che era stata annunciata come una priorità da Giuseppe Conte nel suo primo Vertice Ue a giugno, non è menzionata nella parte sulle migrazioni della bozza di conclusioni del Consiglio europeo di giovedì e venerdì. Nessun progresso è stato fatto sulla questione della condivisione degli sbarchi. Francia e Germania hanno comunque lanciato un ciambella di salvataggio all’Italia, nel momento in cui sembra intenzionata a compiere un atto di autolesionismo minacciando la chiusura della missione Sophia al largo della Libia. Tra le loro proposte c’è quella di “una regola specifica di ricollocamento” per i rifugiati salvati in mare “nel quadro delle missioni europee”. Ma come a giugno Parigi e Berlino insistono affinché i migranti vengano fatti sbarcare nel porto sicuro più vicino (tradotto: l’Italia per la Libia) e trasferiti in “centri sorvegliati” (tradotto: centri chiusi) dove valutare le loro richieste di asilo. Per ora non c’è consenso tra i 28. Così si va verso un’estensione tecnica di Sophia per 3 mesi, durante i quali i migranti continueranno a essere sbarcati in Italia. “Non risolve nulla, Sophia è ancora a rischio, ma almeno ci permette di guadagnare tempo”, spiega al Foglio un funzionario Ue.

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