Il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta (Foto LaPresse)

La svolta della Trenta non è una svolta, ci dicono Pinotti e Crosetto.

Valerio Valentini

"Il disimpegno delle truppe dall’Iraq lo avevamo già deciso noi", dice l'ex ministro del Pd

Roma. “Ma quale svolta?”. Roberta Pinotti di Elisabetta Trenta, delle sue scelte, delle sue politiche, non parla. “Non sta bene – dice la senatrice genovese del Pd – che il vecchio ministro della Difesa commenti quello che fa il nuovo. Non è elegante”. E però, se del rientro dei duecento militari italiani da Mosul, annunciato dalla Trenta sulle colonne del Corriere della Sera, la Pinotti accetta di parlare, è proprio perché, sottolinea, “quella è di fatto una mia scelta”. Il ricordo è ancora vivo. “Eravamo sulla nave della marina Etna, io insieme al premier Paolo Gentiloni, a fine dicembre scorso: fu nell’occasione degli abituali auguri ai nostri soldati impegnati all’estero che annunciammo il progressivo disimpegno delle nostre truppe dall’Iraq”.

 

Una scelta, dunque, “già presa dal precedente governo, cui la Trenta si è semplicemente allineata”. Del resto, quella operazione, “Praesidium”, era stata predisposta alla fine del 2015: “E all’epoca le truppe dell’Isis erano a 15 chilometri dalla diga di Mosul. Andava scongiurato il rischio di un attentato che avrebbe avuto conseguenze drammatiche. E in più una ditta emiliana, la Trevi, aveva da poco vinto un importante appalto per la ristrutturazione dell’impianto, dunque era necessario proteggere i nostri lavoratori”.

 

Ora, la Trenta dice che il Califfato è stato sconfitto, almeno in Iraq, e il pericolo per la diga non sussiste più. “Certo – conferma Pinotti – ma del resto è già da un anno che con i nostri alleati della coalizione in Iraq stiamo discutendo le linee guida per il rientro del nostro contingente”. E insomma “nulla di nuovo sotto il sole di Mosul”, scherza la Pinotti. “Il governo del cambiamento non sta cambiando nulla, e menomale. Almeno per quanto riguarda le missioni internazionali”.

 

E sul resto? “Sul resto non parlo, ve l’ho detto. Non sta bene”. “Sul resto, non si riesce proprio a capire cosa voglia fare questo governo, quando si parla di geopolitica e di strategia internazionale”, interviene Guido Crosetto, coordinatore e deputato di Fratelli d’Italia, già sottosegretario alla Difesa col governo Berlusconi tra il 2008 e il 2011. “Non discute – dice – l’annuncio della Trenta: era già previsto il rientro dei nostri militari, ed è un bene che sia stato confermato. Una decisione in continuità con quanto stabilito da Gentiloni”. E però? “E però se allarghiamo il quadro, se ci chiediamo cosa abbia in mente il governo in medio oriente e nel bacino del Mediterraneo, io resto interdetto. Sarà un mio limite, ma proprio non riesco a capire. Guardiamo alla Libia”.

 

E cosa vediamo? “Un governo che prima cerca di tenere il piede in due scarpe. Poi opera un repentino cambio di rotta che, se pure avrebbe potuto avere un senso mesi fa, ora è decisamente tardivo. Abbiamo sempre sostenuto il governo di al Sarraj, riconosciuto e supportato dall’Onu e dalla comunità internazionale. La scelta di cambiare cavallo, puntando sul generale Haftar, ci pone in secondo piano rispetto alla Francia. Haftar sa che i suoi storici difensori stanno a Parigi. Che senso ha, per noi, metterci a rimorchio di Macron?”. Domanda che sembra quasi irriverente, nelle ore in cui proprio il governo francese è uno dei bersagli prediletti della retorica grilloleghista in tema di manovra economica. “Bizzarro, sì”, ammette Crosetto. Che però poi subito si fa serio: “Il problema su cui la Trenta, e non solo lei nel governo, dovrebbe riflettere, è che in Libia ci sono sostanzialmente in ballo due interessi: quelli italiani e quelli francesi. Se noi ci mettiamo in scia di Parigi, difficilmente otterremo qualcosa di buono”.

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