Il presidente della Russia Vladimir Putin (Foto LaPresse)

L'arte di Putin di non sprecare mai una crisi. Il caso Khashoggi e gli affari con Riad

Micol Flammini

Un problema per l’occidente è una possibilità per il Cremlino. La realpolitik della Russia in medio oriente

Roma. Non era difficile da immaginare e anche Donald Trump lo aveva predetto, qualsiasi tentativo volto a deteriorare le relazioni tra gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita avrebbe lasciato il campo libero a stati come Russia e Cina. Così parlava il presidente americano dopo la scomparsa del giornalista saudita Jamal Khashoggi, quando l’implicazione del principe ereditario Bin Salman era un sospetto. Quando Trump riusciva ancora a permettersi di dire che il principe saudita rimaneva “innocente fino a prova contraria”, e il genero Jared Kushner tentava di convincerlo a non abbandonare gli alleati sauditi perché il caso Khashoggi sarebbe passato come passano tutti gli scandali, prima o poi. Intanto da Riad, Bin Salman, come ha scritto qualche giorno fa il Wall Street Journal, faceva sapere agli americani: “Se ci abbandonate me ne ricorderò”. Vladimir Putin a distanza seguiva il tutto: le capriole di Trump, gli azzardi di Kushner, le barricate dei sauditi e i tranelli dei turchi pronti a sventolare le prove contro il regno. Aspettava senza fretta di commentare e le sue parole sul caso sono arrivate giovedì scorso dal Valdai Club. “Non esiste alcuna ragione per cambiare i nostri rapporti con Riad”, ha dichiarato il presidente russo. “Questa persona – ha detto riferendosi a Khashoggi – faceva parte dell’élite saudita, è difficile dire cosa stia accadendo.

 

Quindi, perché dovremmo rovinare i nostri rapporti”. Laddove c’è una crisi per l’occidente, per la Russia si apre una possibilità e questa per Vladimir Putin sarebbe stata facile da sprecare se si fosse lasciato prendere dalle rivendicazioni. Mosca è sotto sanzioni per aver usato armi chimiche in Siria, in Gran Bretagna, per le interferenze durante le presidenziali americane e per l’annessione della Crimea, il capo del Cremlino avrebbe potuto con ingenuità ricorrere al vittimismo, al perché noi sì e loro no, invece ha atteso che un varco si aprisse e ne ha approfittato. La strategia di Putin, soprattutto in medio oriente, è a lungo termine e la Russia e l’Arabia Saudita hanno sviluppato stretti rapporti economici negli ultimi anni, anche attraverso l’accordo con l’Opec per regolamentare le forniture di petrolio. Inoltre Riad potrebbe partecipare alla ricostruzione della Siria – il 15 ottobre l’inviato russo per la crisi siriana era a incontrare il principe ereditario –, dalla crisi generata dall’omicidio di Khashoggi, Putin è pronto a trarre vantaggio.

 

Il fondo sovrano russo, mentre le società occidentali annunciavano che avrebbero boicottato la “Davos nel deserto”, la conferenza sugli investimenti iniziata ieri a Riad, faceva sapere attraverso un comunicato stampa che sarebbe andato al forum con una delegazione di trenta dirigenti, di cui fanno parte anche Dmitri Konov, capo della compagnia petrolchimica Sibur, e Andrei Kostin, della VTB Bank: “I rappresentanti del fondo di investimento sovrano e della delegazione russa hanno in programma di partecipare alle principali sessioni, di contribuire ai colloqui, di fornire consulenze sui loro campi specialistici, incontrare la leadership del Regno e i principali partner sauditi". In questo momento il principe Bin Salman ha bisogno della Russia, è accusato di aver ordinato l’omicidio di Khashoggi, due anni di riforme e di aperture sono svaniti lasciando scoperto il vero volto della monarchia saudita e se c’è una nazione che può ignorare quel volto e considerare soltanto l’aspetto economico di Riad, quella nazione è la Russia. Kirill Dmitriev, ad del fondo sovrano, ha detto: “Le relazioni tra Russia e Arabia Saudita si stanno rapidamente sviluppando. Il Regno sta portando avanti un processo di riforma importante non solo per il medio oriente, ma per tutto il mondo. Apprezziamo il dialogo costruttivo e siamo felici di condividere esperienze, identificare nuovi progetti comuni e discutere di aree promettenti per lo sviluppo di una cooperazione globale".

 

Putin in medio oriente riesce a mantenere una posizione di equilibrio: è amico dell’Iran ma investe in Arabia Saudita e fa accordi con Israele, tende una mano a Bin Salman ed è alleato della Turchia nel processo di ricostruzione siriano. La Russia è l’unica potenza che ha rapporti con tutte le nazioni mediorientali, un ruolo strano, inedito possibile grazie al fatto che Putin sta pianificando con cautela la sua strategia nell’area. Ma c’è un altro aspetto da considerare e che riconduce al caso Khashoggi. Il mondo di Mosca è senza regole, non risponde ai trattati e ancor meno alla morale. Questa strategia amorale, questo rispetto fatalista della realpolitik, di una politica fondata esclusivamente sugli interessi della nazione, permette al Cremlino di approfittare di ogni vuoto, di gettarsi in ogni crisi. “Per quanto ne so – aveva detto Putin a Valdai – Il giornalista scomparso viveva negli Stati Uniti, non in Russia. A questo proposito gli Stati Uniti hanno una certa responsabilità. . . cos'altro posso dire?“. "Se qualcuno sa cosa è successo e c'è stato un omicidio, che vengano fornite le prove e noi prenderemo alcune decisioni“, aveva promesso. Ieri il suo alleato Erdogan ha fornito quelle prove e il Cremlino ha risposto: “Ci è stato detto che la monarchia non c’entra”.

Di più su questi argomenti: