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I colpi della “Resistenza” anti Trump

Daniele Raineri

Ucraina, Siria, sanzioni contro Putin. Cosa fanno i sabotatori alla Casa Bianca. Per ora gli anonimi hanno poco da vantarsi (per quel che sappiamo)

New York. Ora che l’anonima “Resistenza dentro l’Amministrazione Trump” si vanta in prima pagina sul New York Times di sabotare il programma del presidente – e con questo fa più danni che altro perché ogni correzione di linea dovrebbe essere il frutto di un gioco interno e discreto, come da sempre accade – possiamo rileggere cosa è successo in questi diciotto mesi di governo. La Resistenza ha davvero combinato qualcosa? Il caso più sospetto è il dossier Siria, perché il presidente americano ha fatto un dietrofront spettacolare. Fino a cinque mesi fa Trump, a parte qualche fiammata omicida contro il rais siriano Bashar el Assad che lui chiama “l’animale”, diceva che l’America sarebbe stata fuori dal teatro di guerra siriano entro la fine dell’anno. Voleva il ritorno a casa delle duemila truppe americane che oggi sono schierate in alcune basi militari dentro il territorio curdo della Siria e voleva che gli alleati arabi, soprattutto Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, colmassero il vuoto che si sarebbe creato dopo la partenza degli americani e finanziassero di tasca loro forze locali (i sauditi in effetti ad agosto hanno promesso una prima tranche di cento milioni di dollari, tanto per far vedere un po’ di buona volontà a Trump). Il Pentagono tuttavia vede di cattivo occhio un ritiro totale dalla Siria per due motivi. Il primo è che lo Stato islamico è stato ridotto all’ombra di quello che era quattro anni fa grazie a quasi trecentomila raid aerei e alle operazioni delle Forze speciali ma è ancora operativo ed è specializzato nel risorgere dalle sue ceneri.

 

I generali non vogliono assistere a un bis di quel che accadde in Iraq, dove il ritiro prematuro dei soldati americani nel 2011 regalò spazi di manovra insperati allo Stato islamico. La seconda ragione è più forte: gli americani sono in totale disaccordo con il trionfo di Iran e Russia in Siria e vogliono mitigarlo e intralciarlo, se possibile annullarlo sul lungo termine, e quindi non vogliono abbandonare l’area. Con molta discrezione, la Casa Bianca ha ridefinito i suoi obbiettivi finali in Siria. Non più soltanto la “distruzione totale dello Stato islamico”, ma anche “l’uscita dal paese delle forze iraniane e filoiraniane” e la nascita di “un governo non minaccioso che sia accettato da tutti i siriani e dalla comunità internazionale”. Ora, considerato che milioni di siriani hanno partecipato a una guerra civile contro Assad o sono scappati all’estero per non stare sotto il controllo del regime, è come se l’Amministrazione Trump avesse spostato a un futuro indefinito la fine delle operazioni americane in Siria.

 

Altri casi sono più complessi da ricostruire. Prendiamo la questione degli aiuti militari dall’America all’Ucraina, che ovviamente fa infuriare la Russia. L’Amministrazione Trump ha approvato a dicembre 2017 la vendita di potentissimi fucili da cecchino all’esercito ucraino e a marzo una fornitura di 210 missili anticarro Javelin – che però non sono stati spediti sul fronte del Donbass, per essere usati contro i separatisti filorussi, ma sono sottochiave in magazzini all’altro capo dell’Ucraina sorvegliati da soldati americani. In teoria quelle armi sarebbero micidiali se usate al fronte e quindi sarebbero un grosso sgarbo a Putin che sostiene i separatisti, ma il procuratore capo dell’Ucraina ha congelato quattro inchieste che riguardavano Paul Manafort, ex capo della campagna elettorale di Trump e molto caro al presidente. Insomma, mandare le armi è stata una mossa antirussa, ma gli ucraini avevano buoni argomenti per farsi ascoltare – più che lo staff della Casa Bianca. Oppure prendiamo la questione delle sanzioni alla Russia per le interferenze nelle elezioni presidenziali del 2016 – che è un caso molto delicato perché Trump è chiamato a punire i russi per operazioni che l’hanno favorito secondo il parere delle sue agenzie di intelligence. Con molto ritardo, e senza le fotografie e gli inviti pubblici che di solito accompagnano le sue firme, Trump ha approvato le sanzioni contro Mosca a marzo – ma lo ha fatto perché era obbligato legalmente da un voto schiacciante del Congresso e soltanto dopo il tentato omicidio di un disertore russo vicino Londra. Forse i membri della Resistenza interna alla Casa Bianca hanno già salvato il mondo dieci volte e noi non lo sappiamo, ma è possibile che per ora si stiano dedicando di più a proteggere la propria carriera dopo Trump.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)