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Un assist favoloso per Trump

Daniele Raineri

Doveva essere una settimana di disfatte umilianti a mezzo stampa per il presidente, invece le rivelazioni sulla “Resistenza dentro la Casa Bianca” gli offrono una scusa da sogno: è tutta colpa del Deep State

New York. Doveva essere una settimana di disfatte umilianti per Trump perché i due giornali più importanti, Washington Post e New York Times, avevano in serbo contro di lui due colpi da massacro. Martedì il primo ha pubblicato una serie di anticipazioni dal libro di Bob Woodward – esce l’11 settembre – che racconta una Casa Bianca dove lo staff del presidente tenta di correggere la rotta e di evitare disastri grazie ad atti di insubordinazione quotidiani, come rubare documenti dalle scrivanie dello Studio ovale per non farli firmare oppure fingere di essere d’accordo con un ordine militare per poi non eseguirlo. Il tutto mentre i sottoposti dicono che il presidente è “un idiota”, “fuori di testa”, “con una capacità di comprensione da quinta elementare” e lui li ricambia a colpi di “ritardato mentale”, “ratto”, “con dei vestiti da piazzista di birre”. Mercoledì il New York Times ha risposto con una lettera anonima da parte di un funzionario di alto livello della Casa Bianca che rivela di far parte di un gruppo segreto di funzionari che “non sono di sinistra” ma ogni giorno agiscono per ostacolare gli impulsi più distruttivi del presidente e per preservare le istituzioni della Repubblica americana in attesa che scada il tempo di Trump. Come non bastasse, due altri funzionari della Casa Bianca (sempre coperti dall’anonimato) hanno detto alla newsletter politica più letta del paese che avrebbero voluto scrivere loro quella lettera, che dice esattamente quello che pensano e che “siamo decine e decine qui” a comportarci così. E tuttavia a questo punto le rivelazioni scandalose e pesantissime hanno raggiunto un punto tale da diventare controproducenti. Trump le ha subito impugnate per dimostrare che una delle teorie del complotto più care al mondo trumpiano, quella del Deep State, è finalmente provata – e sono stati gli stessi nemici di Trump a portare le prove. Il Deep State, secondo la teoria, è quel conglomerato di apparati e istituzioni che non cambiano con il succedersi dei presidenti e che finiscono per considerarsi più potenti dei presidenti e per seguire una politica tutta loro. E’ il sogno di ogni politico consumato: un nemico interno su cui scaricare ogni responsabilità nel caso qualche cosa vada male.

 

A nulla vale far notare che lo staff di Trump agisce per un senso di decenza e per evitare colpi di testa distruttivi da parte del presidente. Prendiamo l’ex generale dei marine Jim Mattis, diventato capo del Pentagono dopo decenni di carriera militare. Difficile che rompa la catena di comando con leggerezza. Eppure, secondo Woodward, quando nell’aprile 2017 un Trump euforico gli ordinò di uccidere il rais siriano Bashar el Assad per punirlo dopo un attacco con armi chimiche contro i civili siriani, Mattis fece finta di essere d’accordo e poi invece preparò assieme al suo staff una rappresaglia molto più modesta (il Pentagono lanciò cinquanta missili Tomahawk contro la base siriana da cui erano partite le armi chimiche e uccise sei soldati). Se dessimo retta alla teoria del Deep State, che è sempre dipinto come interventista, aggressivo, pronto a invadere il medio oriente, allora l’ordine di Trump sarebbe stato eseguito con prontezza. Invece fu disatteso a favore di una risposta molto più moderata. Ma queste sono considerazioni logiche, che hanno valore zero nel contesto eternamente surriscaldato della propaganda trumpiana. Potrà dire che il Deep State si è fatto avanti con una lettera sul New York Times, come se in Italia i non meglio identificati Poteri forti, sempre citati a sproposito, scrivessero un editoriale sul Corriere della Sera.

 

Adesso Trump alla Casa Bianca diventerà “più sprezzante, più spregiudicato, più anticostituzionale e più pericoloso”, scrive il conservatore David Frum sull’Atlantic. E tutti i suoi collaboratori, terrorizzati dalla possibilità di essere considerati dei sabotatori, non avranno più il coraggio di intervenire e di dare una loro opinione informata su fatti essenziali. Woodward racconta che Trump voleva eliminare un programma militare americano al confine coreano che riesce a individuare il lancio di missili nel giro di pochi secondi invece che dei quindici minuti che sono necessari dall’America, perché gli sembrava uno spreco di soldi. “Serve a evitare la Terza guerra mondiale”, gli aveva risposto Mattis.

 

Oltre a un presidente più incarognito, molti commentatori dicono che anche quest’opera paziente di correzione, ora romanticizzata nella cosiddetta “Resistenza dentro la Casa Bianca” (come da titolo sul New York Times) ne esce in modo disastroso. L’accusa è che i dissidenti vogliono pararsi le spalle e in questo modo godono del potere di fare parte dell’Amministrazione ma al tempo stesso si preparano una scusa per quando finirà tutto: “Ma io facevo parte della Resistenza!”. Dichiaratevi, è la richiesta che arriva da molte parti. Prima che i reporter, o Trump, scovino chi siete.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)