Donald Trump (foto LaPresse)

La caccia alla talpa della Casa Bianca

Paola Peduzzi

Non sono io, ripetono atterriti gli indiziati. Ma potrebbero essere stati tutti

Milano. Incontri cancellati, porte chiuse, telefonate ai giornalisti: piantatela con i pettegolezzi, la talpa la troviamo noi, non rendeteci la vita impossibile, già qui è tutto difficile. L’autore dell’editoriale anonimo uscito sul New York Times è il ricercato numero uno dentro la Casa Bianca: deve essere lì, lui lo dice chiaro, so di cosa parlo perché sono uno dell’Amministrazione, e faccio resistenza contro i capricci, gli istinti, le brutture di Donald Trump.

 

 

Ma chi è questa talpa? La caccia, dentro quelle stanze della Casa Bianca in cui si trattiene il respiro dalla tensione, è aperta: scoveremo il traditore. “Le cellule dormienti si sono risvegliate – ha detto una fonte anonima al Washington Post – è come nei film horror, quando tutti realizzano che la telefonata viene da dentro la casa”. C’è stata la corsa a dire “non sono io”, ennesima dimostrazione della “crazytown” che continuiamo a chiamare Casa Bianca: potrebbe essere stato chiunque, potrebbero essere stati tutti.

 

Mike Pence, il vicepresidente, è al primo posto della classifica perché nel testo c’è una parola – lodestar, stella polare – che lui, e praticamente soltanto lui, ha utilizzato spesso. Pence smentisce, come fanno molti altri, e intanto si fanno altri nomi, praticamente tutti, con i giornalisti del New York Times subissati di implorazioni: dimmi chi è, non lo dico a nessuno. Segretamente c’è chi spera che a guidare la resistenza ci sia Ivanka, la figlia-madre che da sempre contiene i capricci di papà e non riuscendoci mai, s’è un po’ stufata. Ma i linguisti chiamati ad analizzare il testo per scovare indizi utili sul sesso e l’età della talpa – il New York Times ha assicurato di non aver apportato modifiche rilevanti – dicono che non sembra la scrittura di una donna (sarà sessismo?) ma non forniscono dettagli illuminanti per tracciare un identikit: anzi, il New Yorker ha pubblicato un commento con il titolo “La nazione è sorpresa che ci sia qualcuno alla Casa Bianca in grado di scrivere un editoriale”. 

 

Mike Allen, autore della newsletter politica di Axios, ha messo l’emoticon del serpente nel subject dell’email: Trump cerca i serpenti, lo fa da sempre, dal primo giorno, perché la sua Amministrazione è stata scandita da indiscrezioni, voci rubate, una più sprezzante dell’altra, e il lavoro principale degli uomini del presidente – “il lavoro peggiore che abbia mai avuto”, ha confessato John Kelly, chief of staff, a Bob Woodward – è quello di governare la paranoia di Trump, di controllare, zittire quel mondo che racconta anonimo quel che avviene dentro la Casa Bianca.

 

Non è un caso che lo stesso Trump, nella telefonata che ha fatto a Woodward quando ha capito che il libro in uscita la settimana prossima, “Fear”, sarebbe stato deleterio, abbia chiesto: ma i nomi e i cognomi di chi ti ha parlato ci sono, o è il solito “dicono” “fanno”? E la consigliera Kellyanne Conway, sempre in questa telefonata che pare una commedia degli equivoci, chiede a Woodward di riferire tutti i nomi a Trump, come a dire: non ne usciamo vivi. Trump va in giro con una lista dei possibili serpenti, la guarda, la spulcia, nel mezzo dei meeting si volta a guardare chi c’è in piedi appoggiato ai muri, e un giorno ha detto: tutto quello che è stato detto oggi arriverà alla stampa, non conosco nessuno di questi che ci stanno intorno, uno di loro parlerà.

 

In questi venti mesi di presidenza, le indiscrezioni sono spesso state la ragione di dimissioni o di litigi, Trump è ossessionato dalla lealtà. I giornali e i giornalisti si sono a lungo interrogati sull’utilizzo delle fonti anonime, ma l’editoriale anonimo sposta più in là il dibattito. Nella stagione dei bot, degli account falsi, della finzione, non è rischioso giocare con l’anonimato? Il New York Times non si è posto il problema: c’è la sua credibilità, controllo io per voi, e dopo giorni di Woodward sul Washington Post, in quest’aria da impeachment che ricorda il Watergate e la competizione tra i due quotidiani, la Grey Lady ha trovato la sua gola profonda.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi