Il presidente della Repubblica ceca, Milos Zeman

In Repubblica Ceca i sovranisti dimenticano perfino la Primavera di Praga

Micol Flammini

Invocano a gran voce storia e tradizione, per poi tradirle non appena cambiano le infatuazioni politiche

L’arte del sovranismo si fonda sulla capacità di creare dicotomie. Noi contro loro. Nazione contro comunità internazionale. Tradizione contro cambiamento. Per i sovranisti l’Unione europea è un nemico, non riconoscono nei valori comunitari dei sentimenti condivisi e tendono spesso a guardare con benevolenza alla Russia. Eppure in questo forzoso processo identitario c’è un errore, un cortocircuito storico. Martedì la Repubblica ceca, oggi euroscettica e nazionalista, commemorava i cinquant’anni della Primavera di Praga, uno dei momenti più importanti e dolorosi della storia del paese e durante la celebrazione il presidente, la più alta carica dello stato, non c’era. Non si è presentato, non ha commemorato, non ha tenuto nessun discorso. “Zeman – ha scritto su Twitter il suo portavoce – ha già pronunciato un discorso coraggioso durante l’inizio della normalizzazione e ha già detto che non era d’accordo con l’occupazione”. Milos Zeman quindi non c’era per non dover ripetere un discorso fatto cinquant’anni prima, quando tra l’altro ancora non era presidente, al suo posto ha mandato il capo di gabinetto.

 

Il primo ministro, Andrej Babis, ha pronunciato qualche parola soffocata dai fischi e dalle proteste dei cechi riuniti in piazza San Venceslao. Il governo nazionalista di Praga, e il suo presidente con idee ancora più estremiste che accusa l’Unione europea di voler privare il suo paese della tradizione cristiana, ha ignorato il ricordo dei duecentomila soldati sovietici, dei carri armati che entravano a Praga per mettere fine alle riforme di apertura e per deporre il leader dei comunisti cecoslovacchi Alexander Dubcek. Che i sovranisti cechi abbiano deciso di riservare poca attenzione a una commemorazione così importante per il paese, forse in assoluto la più importante, è una contraddizione che nasce da un errore storico, da un’amicizia strana, controversa, e che si fonda su un’interpretazione sbagliata della storia.

  

Milos Zeman ha più volte minacciato di voler far uscire Praga dall’Unione europea per permetterle di riavvicinarsi alla Russia, una vicinanza che i cechi non hanno mai apprezzato, più volte ha parlato di un referendum per abbandonare la Nato e la sua assenza, le parole non dette durante le celebrazioni di martedì sono uno sgarro nei confronti della storia nazionale. Il presidente ceco, nazionalista e russofilo, non ha preso parte alla commemorazione per non dispiacere il Cremlino di Vladimir Putin, che vorrebbe riportare a Mosca i fasti della Russia sovietica. Ha preferito non celebrare un momento nazionale, scivolando così dalla parte di chi cinquant’anni fa ha invaso la sua nazione. Vista l’assenza di Zeman, la televisione pubblica ceca ha dovuto trasmettere il discorso del presidente slovacco Andrej Kiska e anche questa è una contraddizione: la Cecoslovacchia, una nazione in due, ha sempre vissuto all’ombra della parte boema, la più liberale e la più colta.

 

Il silenzio sovranista di Milos Zeman è stato un tradimento nei confronti di un paese in cui il sentimento antirusso e quello anticomunista sono ancora forti. L’euroscetticismo di Praga e degli altri paesi di Visegrád è frutto di una forzatura della storia, la Repubblica ceca aveva scelto l’appartenenza all’Europa con le sue battaglie, la Primavera di Praga prima e la Rivoluzione di velluto poi. La scelta dell’alfabeto, quello latino e non il cirillico, e della religione, quella cattolica e non l’ortodossa, sono state la dichiarazione di voler appartenere all’occidente e non all’oriente. I sovranisti invocano a gran voce storia e tradizione, per poi tradirle non appena cambiano le infatuazioni politiche.

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