Il piano del presidente del Messico López Obrador per combattere i narcotrafficanti

In Messico il nuovo presidente vuole tendere la mano ai narcos che mozzano le teste

Eugenio Cau

Forum di ascolto e legalizzazione delle droghe leggere. López Obrador ha un piano debole contro i narcotrafficanti che hanno fatto 200 mila morti

Roma. Dal 2006 a oggi, dunque in poco più di un decennio, la guerra contro il narcotraffico in Messico ha provocato all’incirca 200 mila vittime. La cifra è stimata, perché tra desaparecidos, fosse comuni di cadaveri calcinados, cioè carbonizzati, e poveretti torturati dai narcos di cui si trovano soltanto dei pezzetti è difficile farsi un’idea precisa di quanti siano i morti. Sappiamo che sono tantissimi, è un massacro paragonabile a una guerra civile, e le città messicane sono le più pericolose del mondo, seconde a quelle di Siria e Iraq. La violenza in Messico non è soltanto brutale, è creativa, e la profanazione della vita umana è diventata fenomeno abituale, quasi trascurabile nella coscienza della società.

 

Prendiamo Città del Messico. Negli anni della guerra al narcotraffico, la capitale del paese è rimasta un porto franco. Accordi tra i narcotrafficanti (alcuni sostengono: tra narcos e governo) hanno consentito alla città di svilupparsi e diventare un centro vitale e sicuro di affari e turismo. Di recente, però, pare che la tregua si sia rotta. Il numero dei morti ammazzati è aumentato del 45 per cento dal 2014 a oggi e la violenza è arrivata anche nella capitale. Violenza creativa, dicevamo. Gli ultimi due morti, rinvenuti negli scorsi giorni, sono stati trovati uno dentro a un’auto, con il corpo nell’abitacolo e la testa mozzata e posata sul tettuccio; all’altro, invece, hanno staccato braccia e gambe e le hanno riposte in un cestino refrigerato, di quelli che si portano in spiaggia per fare il picnic – altrove in Messico queste scene riguardano anche decine di corpi per volta. Un simile livello di violenza sembra irrimediabile, imperdonabile, nemmeno l’Isis raggiunge tanto sadismo. A Città del Messico, ha scritto ieri Reuters, il nuovo capo della polizia, Raymundo Collins, ha deciso di usare la mano dura, da luglio sono aumentati gli arresti e dieci elicotteri con montati a bordo fucili di precisione sorvolano tutti i giorni la città.

 

Ma l’altrettanto nuovo presidente del Messico, Andrés Manuel López Obrador, è di avviso tutto diverso. López Obrador, chiamato da tutti Amlo, è stato eletto il mese scorso e salirà in carica soltanto a dicembre. Fin da dopo l’elezione ha cominciato a lavorare da presidente eletto e questa settimana ha rivelato il primo frammento della sua strategia per combattere il narcotraffico. A Ciudad Juárez, una delle principali piazze della droga del paese, che per molti anni è stata definita la città più pericolosa del mondo, Amlo ha aperto il primo “forum di ascolto”, un luogo in cui sviluppare una cultura del perdono e della pacificazione. Amlo aprirà molti di questi forum in Messico, perché la sua teoria è che “non si può combattere il fuoco con il fuoco”.

 

Altre proposte riguardano la parziale legalizzazione delle droghe leggere e la creazione di commissioni della verità. “Io non credo nella legge del taglione”, ha detto Amlo, mentre il suo discorso nel nuovo forum veniva interrotto ripetutamente dalle famiglie delle vittime del narcotraffico di Ciudad Juárez, che non sembravano molto d’accordo. Gli esperti di sicurezza messicani dicono che Amlo, oltre ai buoni sentimenti, avrà anche un piano di contrasto di tipo militare, ma a giudicare dalle anticipazioni sarà un piano che cercherà di rendere meno diffusa la violenza rinunciando a perseguire i reati non violenti. Significa: io chiudo un occhio sul traffico della droga, voi smettete di riversarmi cadaveri decapitati per strada.

 

Cambiare il paradigma della guerra e cominciare un processo di pacificazione può essere un’idea. La guerra contro il narcotraffico in Messico è a tal punto incancrenita nelle anime che molti non riescono nemmeno a immaginarne la fine. Ma nell’insistenza di Amlo per il perdono ci sono elementi preoccupanti. L’ultima pace famosa del continente, quella fatta dal governo colombiano con le Farc, fu realizzata dopo che il governo mise in ginocchio il gruppo terroristico con un’operazione militare brutale. I narcos messicani oggi sono al culmine della loro forza, e cambiare paradigma pare molto più difficile.

  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.