Foto Republic of Korea

La stretta di mano più importante dell'Asia orientale

Giulia Pompili

Dopo questo imperdibile show ci fidiamo di Kim Jong-un?

La Corea unita e tutta in azzurro, il simbolo del riavvicinamento tra i due paesi che non si riconoscono l’un l’altro, è un colpo da maestro dei sudcoreani, sempre attentissimi alla brand, alla personalizzazione, al pop. Quel disegno, quel punto di colore ha accompagnato spesso le squadre sportive unificate, ma è la prima volta che viene utilizzato anche per un evento importante come quello che si è appena celebrato sul confine coreano. Di quel celeste è pure la passerella dove hanno camminato per la prima volta un presidente sudcoreano e un leader della dinastia dei Kim, “azzurra come la Corea unita e come il colore dell’Onu”, ha detto il portavoce della presidenza di Seul. “Peace, a new start” è il titolo che hanno dato i sudcoreani all’evento, con tanto di lettering speciale, identificabile, unico, un sito internet dedicato (molto azzurro, va da sé) e tradotto in dieci lingue. Ma tutto questo sforzo di comunicazione, tutta questa leggerezza e attenzione per i dettagli, da parte dei sudcoreani, servirà a fare la pace?

   

 

Mentre leggerete queste righe, Kim Jong-un si sarà trasformato nel primo leader nordcoreano a oltrepassare il confine sul trentottesimo parallelo verso Sud, e senza carri armati al seguito. Nel Memoriale della guerra di Seul c’è una sala in cui lo spettatore, grazie a luci, suoni e immagini, si trova praticamente “immerso” nella notte del 28 giugno del 1950, quando i nordcoreani attaccarono a sorpresa la capitale sudcoreana così come avevano fatto qualche giorno prima sul confine: una notte in cui nessuno se lo aspettava, si dice non lo sapesse neppure Pechino. In passato si è parlato spesso di denuclearizzazione con la Corea del nord, promesse mai mantenute.

     

 

 

Difficile immaginare che i sudcoreani siano così ingenui da credere alla storia di Punggye-ri: Kim Jong-un ha detto sabato scorso di essere pronto a chiudere il suo sito nucleare principale, ma dalle immagini satellitari e dalle analisi, anche indipendenti, sappiamo da tempo che Punggye-ri è inutilizzabile, perché sei test nucleari sotterranei ne hanno pregiudicato la struttura. Ci sono poi i rapporti con gli altri alleati storici nordcoreani, vale a dire i suoi principali clienti: Siria, Iran, Egitto, Hamas. Tutti nemici di Israele. Non è un caso se ieri il New York Times sia uscito con una storia bomba: secondo i servizi segreti di “occidentali e mediorientali”, Fadi M. Albatsh, ingegnere ucciso giorni fa a colpi di pistola a Kuala Lumpur, sarebbe stato il “tramite” della compravendita di armi tra Pyongyang e Hamas. Tra le altre cose, sabato Kim ha promesso di smettere di fornire armi e tecnologie ad altri paesi. Basterà una stretta di mano?

Di più su questi argomenti:
  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.