Una parata militare a Pyongyang. Foto LaPresse

L'èra del Controllo

Daniele Raineri

Iran, Siria, Corea del nord. I grandi proclami sono inutili se nessuno vede cosa succede dopo

Roma. Uno dei punti oscuri della nuova (ma in realtà vecchia) intesa tra Corea del nord e Corea del sud è la denuclearizzazione della penisola, che è stata menzionata dal presidente sudcoreano ma soltanto in termini vaghi. La realtà è che il controllo allo stato delle cose è praticamente impossibile, perché vorrebbe dire negoziare nei dettagli un meccanismo rigoroso di ispezioni che potrebbe far deragliare tutto il processo di pace. Del resto il lontano accordo del 2007 prevedeva ispezioni “entro una settimana” da parte di team americani che avrebbero dovuto rendere innocui i siti atomici coreani, di comune intesa con Cina, Giappone e Russia. S’è visto com’è andata: la Corea del nord è diventata una potenza nucleare e oggi detta i termini. Questa volta si glissa dunque, ma “Controllo” è sempre il termine chiave dei dossier di politica estera più complicati e delle crisi a venire. C’è soltanto un problema: non si sa come effettuarlo davvero. Per esempio: il segretario alla Difesa americano, l’ex generale Jim Mattis, due giorni fa davanti al Congresso ha detto di essersi riletto tre volte le 156 pagine del deal atomico firmato dall’Amministrazione Obama nel luglio 2015 con l’Iran e ha detto anche di essere uscito dalla lettura rassicurato, perché il meccanismo di controllo gli pare rigoroso. Eppure è la sua stessa Amministrazione a dire che il livello di controllo previsto dal deal è insufficiente, a dire che se non sarà cambiato allora l’accordo atomico sarà revocato, e non in un lontano futuro: il 12 maggio, fra due settimane. Insomma, il governo americano dice che il controllo non basta e il capo del Pentagono dice che invece è sufficiente. Chi ha ragione?

  

Il problema è che non c’è nessuno in grado di offrire garanzie sul controllo in queste materie. La Corea del nord sembrava ancora lontana dalla bomba atomica fino a quando, sorpresa, non si è messa a fare test atomici. Il mondo nel 2004 non sapeva nemmeno che la Libia avesse cominciato a lavorare a un programma atomico fino a quando il governo americano non convinse il rais libico a uscire allo scoperto e rinunciare. Il governo israeliano fu così sorpreso dalla notizia che cominciò a indagare se per caso qualcuno dei suoi vicini ostili stesse anche lui lavorando a un programma atomico e scoprì che in effetti la Siria stava costruendo un reattore nucleare sulle rive dell’Eufrate, grazie a tecnologia fornita dalla Corea del nord.

  

E’ l’Era del Controllo, necessario e richiesto a gran voce ma mai sicuro al cento per cento. Così, nella giornata storica di ieri, i coreani non ci hanno nemmeno provato ad affrontare e definire meglio la questione del controllo, perché sanno che sarebbe un vicolo cieco. L’accordo, anche quello storico del 2015 sul nucleare iraniano, sta per naufragare – in meno di tre anni di nuovo – per questioni di controllo, insufficiente o comunque non percepito come sufficiente. E su entrambi incombe l’esempio negativo del grande accordo tripartito del settembre 2013, quando Siria, Russia e America trovarono un’intesa per la rimozione e distruzione dell’arsenale chimico dell’esercito di Bashar el Assad. Doveva essere l’apoteosi dell’èra del Controllo, finì con due stragi di civili con armi chimiche chimiche eseguite a distanza di un anno, nell’aprile 2017 e nell’aprile 2018. I siriani avevano mentito e avevano consegnato un inventario incompleto e nessuno era riuscito a esercitare il dovuto Controllo.

  

Forse i siriani sono stati aiutati a eludere il Controllo proprio dai coreani di Kim Jong-un, che ieri sembrava tanto allegro e desideroso di pace ma da anni spedisce navi commerciali con carichi clandestini di armi e di tecnologia militare – inclusa quella per le armi chimiche – verso il medio oriente. Le giornate storiche vengono bene, la parte difficile è tutto il Controllo successivo.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)