Kim Jong-un e Moon Jae-in mentre si stringono la mano sul confine (korea.net)

Sul 38° parallelo

Lo show delle Coree unite tra occhiali scuri, abbracci e sospetti

Giulia Pompili

L’incredibile determinazione del presidente Moon e una dichiarazione di pace troppo simile a quella del 2007

Roma. “Benvenuto in Corea del sud, spero proprio di poter visitare presto la Corea del nord”. “E perché non farlo adesso?”. Più o meno sono state queste le prime parole che si sono scambiati il leader nordcoreano Kim Jong-un e il presidente sudcoreano Moon Jae-in, mentre si stringevano la mano sul confine che da sessantaquattro anni divide a metà la penisola coreana. E’ stato un fuori programma, confermano al Foglio fonti diplomatiche: da giorni i funzionari del Nord e del Sud studiavano ogni passo, ogni posizione, ogni angolatura dell’evento storico che è avvenuto venerdì, ma di certo non avevano previsto l’ingresso in Corea del nord del presidente Moon, anche se per pochi secondi. Al di là della geopolitica, i libri di storia sono fatti di questi dettagli: due leader che si scambiano un segno di pace ognuno all’interno del proprio confine, e poi prendono una decisione da soli, in completa autonomia, che potrebbe avere conseguenze storiche. Significa fidarsi del proprio giudizio, e rischiare. Kim Jong-un ha preso per mano Moon e insieme hanno scavalcato la linea di demarcazione militare, sotto gli occhi del mondo intero. Perché questo terzo summit intercoreano non solo è stato il primo a essersi svolto in territorio sudcoreano, ma è stato anche il più connesso della storia: tremila giornalisti accreditati hanno seguito l’evento dal Kintex di Goyang, a metà strada tra la capitale Seul e Panmunjom, dov’è situata l’area di sicurezza congiunta. Alcuni, selezionatissimi, sono stati autorizzati ad accedere all’interno dell’area, trasmettendo le immagini in diretta ovunque – tranne che in Corea del nord.

 

Tutto si è svolto secondo il programma. Il presidente Moon ha accompagnato Kim Jong-un all’interno della Casa della Pace, passando attraverso il picchetto d’onore dove Moon ha fatto il saluto militare, mentre Kim è rimasto fermo (durante le presentazioni ufficiali delle delegazioni, però, il ministro della Difesa nordcoreano, Pak Yong-sik, ha fatto il saluto militare a Moon). Il leader nordcoreano è parso affaticato dopo pochi metri a piedi, e secondo alcuni analisti il fiatone era dovuto all’emozione. Dietro di lui la sorella minore, Kim Yo-jong, che ormai è chiaro avere un alto rango nella gerarchia dei poteri di Pyongyang. Al momento di firmare il libro degli ospiti, è stata lei a passargli la penna, portata dal Nord – l’ossessione per la sicurezza dei nordcoreani non è sfuggita: non solo la penna, ma anche sedia e tavolo sono stati ispezionati prima di far accomodare il leader, e memorabili rimarranno le immagini dei dodici bodyguard altissimi in occhiali scuri che corrono intorno alla Mercedes nera dove viaggiava esclusivamente Kim. Dopo qualche ora, i due leader hanno avuto una conversazione privata, a favore di telecamera, su un ponte colorato di azzurro per l’occasione. Poi hanno piantato due alberi. Kim ha perfino fatto un’allusione di scuse per le ostilità del 2010, quando la Corea del nord bombardò l’isola di Yeonpyeong, e non era mai successo prima. Poi, prima della cena ufficiale – presenti le due eleganti first lady –hanno tenuto una conferenza stampa per spiegare la cosa più importante di tutte: i risultati di questi primi colloqui. Il fatto è che la cosiddetta “dichiarazione di Panmunjom”, quella firmata da entrambi i leader e che è il “primo passo verso la pace”, è pressoché identica a quella firmata undici anni fa a Pyongyang dall’allora leader Kim Jong-il e dal presidente sudcoreano Roh Moo-hyun. Fine delle ostilità, demilitarizzazione della penisola, apertura di nuovi canali di comunicazione, altri summit. All’epoca, però, la Corea del nord stava ancora studiando la tecnologia nucleare (aveva fatto un solo test atomico), mentre secondo le ultime dichiarazioni di Kim Jong-un (e cinque test atomici dopo) Pyongyang dice di aver raggiunto la tecnologia e lo status di potenza nucleare – cioè il suo obiettivo.

 

L’evento di venerdì ha inaugurato di certo una nuova fase nei colloqui: quelli che un tempo erano i negoziati a sei, con le Coree più Cina, America, Russia e Giappone, sono di fatto diventati negoziati bilaterali a quattro. In più, a rendere più ottimista la visione complessiva, ci sono i due leader che venerdì hanno sorriso molto, con una charm offensive evidente, ma che – come dimostra la giornata di venerdì – sono anche in grado di mettere in pratica strategie sofisticate. Moon Jae-in è stato eletto solo da un anno, e ha quindi altri quattro anni di presidenza davanti a sé. Con una determinazione rara e contro ogni previsione razionale (lo scorso anno eravamo sul punto di una guerra) Moon ha raggiunto il suo obiettivo: quello di sedersi al tavolo col leader nordcoreano, quella stessa Corea del nord da cui i suoi genitori scapparono subito prima della Guerra di Corea.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.