Michael Cohen. Foto LaPresse

Tutte le inchieste puntano su Cohen, onnipresente “fixer” di Trump

Il coinvolgimento di Sean Hannity è l’ennesima prova della centralità del legale che goffamente ripete la lezione di Roy Cohn

New York. La cinematografica rivelazione, in un'aula di tribunale, che l’anchorman preferito di Donald Trump era anche un cliente dell’avvocato personale del presidente, sotto inchiesta e circondato da una montagna di accuse e circostanze che non tornano, è per il momento materia di speculazioni e congetture. Sean Hannity, il cliente, nega di avere mai pagato il legale Michael Cohen, al quale ha soltanto chiesto, occasionalmente, qualche opinione legata a non meglio specificati investimenti immobiliari. Magari, ha scherzato, è capitato di “avergli allungato dieci dollari”, ma fra loro non ci sono state parcelle né incarichi nero su bianco. Questa frequentazione informale non spiega però su quale base Hannity ora invochi il segreto fra avvocato e cliente e per quale motivo il suo nome sia finito in un fascicolo della procura, che lo ha indicato non già come un generico conoscente di Cohen, ma questi dettagli non colgono il cuore della vicenda, che ha a che fare con il ruolo camaleontico dell’avvocato, tuttofare trumpiano che da dieci anni abbondanti briga, tratta e sistema affari di varia natura per conto del capo. Il coinvolgimento del più noto mattatore di Fox News, che ha un raggio d’azione talmente ampio da vestire i panni del consigliere informale di Trump, non è che l’inevitabile conseguenza del fatto che Cohen è l’onnipresente tuttofare che mette le mani in ogni fascicolo della vita di Trump. Ci sono tracce del suo passaggio in ogni controversia che circonda il presidente, dal dossier di Christopher Steele agli incontri con emissari russi fino al pagamento di 130 mila dollari versato alla pornostar Stormy Daniels per tacere di una relazione sessuale quando Melania era incinta di Barron.

  

Quando gli agenti dell’Fbi hanno perquisito i suoi uffici cercavano innanzitutto le tracce dei pagamenti a Daniels, avvenuti attraverso una società riconducibile a Cohen, e a un’altra ex modella di Playboy che dice di aver ricevuto 150 mila dollari per non rivelare una relazione con Trump. Il pagamento è avvenuto attraverso la società che pubblica il National Enquirer, spericolato tabloid vicino alla famiglia Trump. Daniels e il suo avvocato, però, sostengono che il problema sia anche più ampio dei loro casi, e che “Cohen abbia agito per anni al di fuori della legge”, come ha detto lei davanti al tribunale di Manhattan. Lo spettacolare ingresso in scena di Hannity, insomma, non fa che esplicitare il ruolo di “fixer” di Cohen, faccendiere con le apparenze formali dell’avvocato che per conto di Trump si è occupato di risolvere una lunga ed eterogenea serie di problemi. Diverse fonti, ad esempio, dicono che abbia organizzato un incontro con emissari del Cremlino a Praga durante la campagna elettorale, cosa che lui nega; nel libro di Michael Wolff Fire and Fury, Steve Bannon dice che Cohen si è “preso cura” di un centinaio di donne che dicevano di avere avuto relazioni con Trump, ed è noto che si sia occupato di convincere, con modi più o meno minacciosi, diversi giornalisti ad abbandonare le piste che stavano seguendo. A un cronista del Daily Beast che aveva rivangato la vecchia accusa di stupro da parte della moglie Ivana, ha promesso di prendergli in tribunale “anche i soldi che non hai ancora”, le cronache abbondano di iraconde tirate, telefonate minacciose, promesse di ritorsione offerte da Cohen per contro di Trump, con l’aggiunta che l’avvocato aveva l’abitudine di registrare le conversazioni. Sono tecniche ricopiate dal manuale di Roy Cohn, il leggendario avvocato che Trump rimpiange ad alta voce nei momenti di sconforto. Cohen è il crocevia in cui si intersecano tutte le accuse e i sospetti verso Trump, e per questo il New Yorker ha parlato dell’“ultima fase della presidenza Trump”. Non significa che il suo governo finirà anzitempo, ma che gli inquirenti non possono scavare più in profondità senza trovare, ancora una volta, lo zampino di Cohen.

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