Lo Stato islamico è tornato ad alzare la testa nelle zone siriane liberate dai curdi

I curdi o lottano contro la Turchia o fanno la guardia contro lo Stato islamico

Daniele Raineri

Appena togli il piede dalla gola dei guerriglieri del Califfato quelli si riorganizzano. Invece, le forze che dovevano passare i prossimi mesi a spazzarli via ora guardano nell’altra direzione, a ovest

Roma. L’operazione militare turca contro i curdi nel cantone di Afrin nel nord della Siria minaccia di regalare un vantaggio insperato allo Stato islamico. Vediamo di capire come potrebbe succedere, anzi: di capire come sta già succedendo adesso. Come tutti sanno, il gruppo terrorista nel 2017 ha perso i territori su cui governava in Iraq e in Siria perché è stato sconfitto in tutti gli scontri diretti: da Mosul in Iraq, a Raqqa e Deir Ezzor in Siria, i fanatici sono stati dispersi e cacciati in zone remote del deserto e delle montagne. Una delle vittorie risolutive è stata quella di Raqqa, capitale dello Stato islamico siriano, che è arrivata come il culmine di una lunga campagna di liberazione partita dal cantone curdo di Kobane. Questa campagna è stata combattuta per tre anni dalle cosiddette Forze siriane democratiche, che sono reparti combattenti misti, curdi e arabi, addestrati e finanziati dagli americani. Il grosso di questi reparti è legato alle Unità di difesa curde, Ypg, che a loro volta sono affiliate al Pkk, partito comunista del Kurdistan, che è sulle lista dei gruppi terroristi di Nato, Stati Uniti e Unione europea. Ora, molti dei combattenti curdi che hanno partecipato alla campagna contro lo Stato islamico potrebbero spostarsi da est a ovest e andare a combattere contro l’operazione militare turca e contro i gruppi di insurgent siriani che ormai prendono ordini in maniera organica dall’esercito turco. Alcuni dei combattenti l’hanno già fatto, anche se per ora non ci sono numeri esatti. Il problema è che la guerra contro lo Stato islamico nella Siria orientale non era finita. Le Sdf hanno preso una estensione di territorio enorme, molto difficile da controllare, e per avere la certezza definitiva di avere sradicato gli estremisti dovrebbero restare in quelle zone a lungo. Il rischio è che si ripeta quello che è accaduto in Iraq nel 2011, quando l’Amministrazione Obama non ottenne un accordo con il governo iracheno per lasciare nel paese alcune guarnigioni di soldati. Senza quell’accordo, le truppe americane abbandonarono l’Iraq prima che i tempi fossero davvero maturi, le milizie che avevano collaborato con gli americani furono sciolte e il livello di controllo sul territorio tornò a essere debole. Fu uno dei fattori che consentirono allo Stato islamico, che in quegli anni era stato cacciato nella clandestinità – esattamente come nel 2017 – di tornare sulla scena più potente di prima.

 


Lo Stato islamico è tornato ad alzare la testa nelle zone siriane liberate dai curdi


 

Lo Stato islamico è costruito in modo da risorgere dalle crisi e dalle sconfitte. Basta scorrere in queste settimane cosa succede sui canali Telegram dove fa circolare la sua propaganda per notare che il grosso delle sue attività è nel cosiddetto Wilayat al Barakah, che grossomodo corrisponde alla parte di Siria tra Raqqa e il confine iracheno, chiusa a nord dal confine turco. Sebbene sia stato dichiarato sconfitto sia dal ministero della Difesa russo – che il 6 dicembre ha detto: la Siria è libera al cento per cento dall’Isis – il gruppo continua a lanciare incursioni, anche con mortai e mezzi pesanti. Insomma, la situazione richiederebbe una pressione e una vigilanza costanti e permanenti, perché appena togli il piede dalla gola dei guerriglieri di Al Baghdadi quelli si riorganizzano e tornano in forze. Invece le forze che dovevano passare i prossimi mesi a spazzarli via ora guardano nell’altra direzione, a ovest, dove è cominciata l’offensiva turca (con un grande via libera da parte della Russia) che loro sentono anche diretta contro di loro. E’ il dilemma della coperta troppo corta. La Siria è un intreccio di conflitti combattuti in economia, in estrema carenza di manovalanza, dove anche mille uomini possono fare la differenza. Pensare che si possa mollare le operazioni anti Stato islamico e non subire le conseguenze è ingenuo.

 

In questi mesi si è detto che lo Stato islamico non potrà tornare ai fasti del 2014 perché quelle condizioni non ci saranno più A meno che, toccava specificare, non arrivi un qualche tipo di evento a scombinare tutto l’assetto anti Isis che non ha mai avuto il tempo di consolidarsi davvero. Se insurgents e turchi cominciano a farsi la guerra nel nord, potrebbe essere quel tipo di evento che riapre la strada ai baghdadisti superstiti, che non aspettano altro.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)